Roscigno, si cuce la bocca per protesta: «Ho perso casa nell’alluvione. Nessun aiuto dallo Stato»

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Roscigno, si cuce la bocca per protesta: «Ho perso casa nell’alluvione. Nessun aiuto dallo Stato»

Ha perso la casa nell’alluvione del 2010 che mise in ginocchio la zona del Sele, il Vallo di Diano e l’alto Cilento. Tra il 7 e il 10 novembre una forte perturbazione, che una settimana prima aveva messo ko il Veneto, creò danni su strade statali e provinciali, allagamenti e frane. Come quella di Roscigno, l’ennesima. Infatti, dopo un secolo da quella catastrofica che decretò la fine di quello che oggi è il borgo abbandonato di Roscigno vecchia, una nuova frana, su un altro versante della stessa collina, nel 2010 portò via e distrusse una casa e quattro aziende. Per queste ultime lo Stato, alla fine del 2011, ha riconosciuto un indennizzo. Per le abitazioni private no.

La protesta Ecco perché Luciana Di Mieri, proprietaria della casa di Roscigno distrutta dalla frana del 2010, ha deciso di cucirsi la bocca in forma di protesta. Ma per finta, ci tiene a precisare. Lo ha fatto in modo simbolico «perchè si vorrebbe il mio silenzio – ha raccontato in un’intervista al giornale del Cilento – perché qualcuno strisciando e chiedendo favori, ma in silenzio, i fatti propri li ha sistemati». Nel periodo immediatamente successivo alla frana «ci furono mobilitazioni di massa dalla provincia di Salerno – spiega Luciana – capeggiate dall’assessore Fasolino. La marcia dei mille su Roma, per esempio. Ma ritornammo a mani vuote, senza essere neanche ricevuti dall’allora ministro Tremonti».

Fondi per le aziende, non per le case private A fine 2011 fu inserito un emendamento nel “decreto milleproroghe” che prevedeva uno stanziamento di 20 milioni di euro (10 nel 2012 e 10 nel 2013) per il ripristino delle infrastrutture e 5 milioni per i danni alle aziende. «Io invece ho perso la mia casa e non è stato mai previsto, in nessun decreto, l’indennizzo per i danni subiti dalle abitazioni private». «Presentai la stima dei danni quando la Comunità montana distribuì dei moduli agli “alluvionati” – continua la Di Mieri – ma lo Stato non mi ha riconosciuto un centesimo. La casa perduta era costruita su un terreno edificabile, accatastata, pagavo le tasse ed ora non ho niente, non mi danno niente». «Ora il terreno non è più edificabile, io non posso sistemare la casa e non posso abitarci. Pretendo che le cose vengano fatte in modo chiaro e non voglio essere riconoscente al santo-politico di turno. Qualcuno mi può contestare che la casa era grande e che non si può indennizzare per l’intero valore, nè per il 50 % del valore. Ci sto. Ma a fronte di una casa perduta ho diritto ad un appartamento di 70 metri quadrati?».

La tragedia nella tragedia La storia di Luciana e della sua famiglia, qualche mese dopo, ha vissuto un ennesimo dramma. «Mio marito, il professore Albino Malzone, già gravemente ammalato all’epoca della frana, non si è più ripreso dal dispiacere. Ed è morto a maggio 2011». Una tragedia nella tragedia. Ora la donna non vive più a Roscigno, si è trasferita a Sala Consilina insieme alla figlia. «Qui non ho parenti, famiglia. Ma decidemmo di trasferirci qui perché all’epoca nostra figlia era una liceale ed era più comodo per noi, dovendo trovare un alloggio di fortuna, trasferirci a Sala». 

La provocazione di Luciana Di Mieri non è passata inosservata sul social network Facebook. «Sono profuga. La mia casa è andata persa nell’alluvione del 2010. Nessuno mi aiuta. Mi sono cucita la bocca per protesta», ha scritto il 28 gennaio postando una foto con la sua bocca «cucita». Per qualcuno, però, il paragone con i profughi è sembrato inadeguato. «La mia – ha sottolineato la Di Mieri – vuole essere una provocazione. Non si può dar credito agli stranieri anche quando fingono e ci si dimentica invece dei cittadini italiani. Anche io, come i profughi, sono stata costretta a lasciare la mia patria». 

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Leggi anche l’intervista fatta alla Di Mieri dopo un anno dalla frana

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