Scandalo Forestale, la Santoro a giudizio l’8 febbraio: 7 i capi d’accusa a cui rispondere. Ecco le prime ammissioni

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Scandalo Forestale, la Santoro a giudizio l’8 febbraio: 7 i capi d’accusa a cui rispondere. Ecco le prime ammissioni

Sarà venerdì 8 febbraio, dunque, la data fissata per il rito immediato che vede imputata Marta Santoro e il marito – collega Antonio Petillo. Una data ed un giudizio richiesto dal pm e titolare dell’inchiesta Maurizio Cardea ed accolta dal gip Renata Sessa.

Sette i capi d’accusa a cui dovranno rispondere i due ex comandanti della Forestale: concussione tentata e consumata, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, istigazione alla corruzione, con aggravante della reiterazione del reato e del concorso. Un quadro accusatorio, quindi, etremamente grave basato su perquisizioni, sequestri, fermi, denunce, querele, intercettazioni e filmati. Un’ingente lavoro compiuto dalle forze dell’ordine in questi ultimi mesi d’indagine e a cui i legali della coppia dovranno rispondere punto su punto.

Il collegio difensivo Antonio Zecca, Antonello Natale, Angela Nigro, lagali della Santoro entro il 20 gennaio prossimi, infatti, dovranno decidere la strategia difensiva da adottare valutando come possibilità anche l’adozione del rito abbraviato o del patteggiamento della pena.

La ammissioni della Santoro Intanto, l’ex comandante di Foce Sele nel corso dell’ultimo interrogatorio tenutosi lunedì 7 gennaio presso la casa circondariale di Fuorni alla presenza del pm ha fatto le prime ammissioni: aver intascato mazzette in 9 sui 16 casi contestati.

Nello specifico la Santoro ammette:

– di aver minacciato di apporre i sigilli alla sua nuova villa benché non vi fossero rilevazioni abusive, costringendo il funzionario del Consorzio di bonifica di Paestum, Luigi Mainardi, a versarle una mazzetta di 40.000 euro;

– di aver costretto Vincenzo Cerrato, proprietario dell’azienda casearia ‘Il Granato’ di Capaccio, a consegnargli indebitamente mazzette in almeno quattro occasioni, per un totale di 14.500 euro, per permettergli di ultimare un’abitazione privata in costruzione in aperto stato di abusivismo edilizio;

– di essersi fatta consegnare una mazzetta di 5.000 euro (in più tranche, l’ultima con un assegno bancario) da Claudio Tambasco, titolare della ‘Meridional Beton’ di Capaccio, asserendo che servivano 8.000 euro per ‘oliare un cancelliere in procura’;

– di aver intimato ad Antonio Adinolfi, titolare dell’omonima impresa di Battipaglia, di consegnarle una mazzetta di 2.000 euro per evitare il sequestro di una cava;

– di aver ‘chiesto’ a Giovanni Marandino, proprietario di un allevamento in località Sabatella di Capaccio, somme di denaro per eludere una presunta delega d’indagini della procura falsamente formata, con il velato consiglio che «una mano non si lava da sola, il cancelliere vuole un regalino».

– in concorso col Petillo, dopo aver mostrato un presunto esposto contro Filippo Gregorio, titolare della ‘Gregorio Marmi’ di Agropoli, si fece promettere una tangente di 4.000 euro per insabbiare la faccenda e darli «ad un cancelliere di Salerno che vuole mangiare…». La ditta si era già messa ‘a disposizione’ in passato, ritrovandosi a dover realizzare, gratuitamente, diverse opere in marmo per la Santoro, tra cui: lavori vari nella sua villa a Giungano; un camino ed un piano cucina presso la stazione di Foce Sele (lavori che, per ammissione del Petillo, non furono mai pagati).

Mentre in maniera parziale ammette di:

– di aver sequestrato un gazebo ed il circostante terreno a Bruno Chiacchiaro e figli, proprietari del ristorante-parco ‘Le Trabe’ di Capaccio, costringendoli a pagare una mazzetta di 2.000 euro per ogni matrimonio organizzato (per un totale di circa 40.000 euro), consentendo loro di effettuare i ricevimenti nonostante i sigilli;

– con la minaccia del sequestro del gazebo, ha costretto più volte la famiglia Chiacchiaro a versare contributi in denaro per la squadra di calcio dove giocava il figlio, e in più occasioni a fornire pranzi e cene ai suoi familiari ed amici senza mai pagare il conto;

– di aver intimato a Gaetano Bruno, proprietario della ‘Edilbruno’ di Capaccio, somme di denaro, mostrando una delega di indagini della procura falsamente formata.

Per i capi d’accusa contestati la Santoro rischia una pena che oscillerebbe dai 4 ai 12 anni di reclusione.

Fonte: STILETV

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