Dissesto idrogeologico, dopo incendi estivi rischio frane nel Cilento: «Gli amministratori? Stanno a guardare e aspettano»

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Dissesto idrogeologico, dopo incendi estivi rischio frane nel Cilento: «Gli amministratori? Stanno a guardare e aspettano»

Fuoco e fiamme d’estate, frane e smottamenti in autunno ed inverno. E’ quanto accade nelle aree a rischio idrogeologico, e il Cilento è tra questi. In tutto il comprensorio, incluso il Vallo di Diano e gli Alburni, sono 64 i comuni a rischio frane con una popolazione complessiva di 186mila abitanti ed un’estensione che supera i 1600 chilometri quadrati. Le piogge dei giorni scorsi hanno già dato le prime avvisaglie. Piccole e non pericolose ma la Campania registra esperienze che possono fare da scuola. Come la frana di Sarno nel 1998 costata la vita a 161 persone, per esempio, o la tragedia di Atrani, nella Costiera Amalfitana, del 2010 nella quale perse la vita la giovane Francesca Mansi. Lo scorso anno la situazione è risultata allarmante a Roscigno, dove la frana ha mosso la terra per oltre un chilometro e mezzo. Una frana che ha creato danni alle colture, alla viabilità e che potrebbe ripresentarsi. Il giornale del Cilento ha chiesto il parere ad un esperto, Franco Ortolani, ordinario di Geologia all’Università Federico II di Napoli, ritenuto tra i massimi esperti in Italia in materia di salvaguardia ambientale.

Meteo serial-killer «Come al solito – ha dichiarato Ortolani – alla fine dell’estate iniziano le piogge che sono spesso caratterizzate da eventi eccezionali nelle aree attraversate dai cumulo nembi che sono veri e propri meteo-serial-killer in grado di inondare la superficie del suolo con decine e centinaia di millimetri di acqua in qualche ora. L’autunno del 2011 è stato caratterizzato dagli eventi catastrofici (oltre 10 vittime) delle Cinque Terre-Garfagnana, di Genova, San Gregorio Magno, messinese tirrenico a Saponara e Barcellona Pozzo di Gotto. Sono eventi ripetitivi e certamente non possono costituire delle sorprese! Gli studi in tempo reale che ho eseguito nelle aree devastate hanno fornito dati originali, finora mai rilevati, pubblicati prontamente e diffusi in modo che cittadini ed amministratori sappiano come si può, almeno, agire in modo da evitare altre vittime. Le aree devastate dal fuoco incombenti su aree abitate ed antropizzate possono alimentare flussi detritici distruttivi incanalati quando i versanti vengono investiti da piogge intense connesse al transito di un cumulo nembo che può rilasciare quantitativi di acqua variabili da qualche decina di mm a circa 150 mm in una-due ore. I versanti non percorsi dal fuoco qualora vengano interessati da piogge di oltre100 mm in un’ora e per alcune ore, inevitabilmente alimentano diffuso ruscellamento e conseguenti colate detritiche e piene che possono devastare i fondo valle abitati attraversati spesso da un alveo-strada.

Di chi le responsabilità? In estate si incendiano i boschi, in autunno arrivano i nubifragi. Gli amministratori? Stanno a guardare e aspettano! Che cosa? La parte terminale dell’estate, come al solito, rappresenta il periodo del consuntivo dei danni ambientali causati dagli incendi provocati dagli uomini.

Quali sono i rischi?
Attualmente, nonostante la prevedibilità degli eventi catastrofici, siamo completamente esposti al rischio idrogeologico. Conoscenze non adeguate dei fenomeni piovosi connessi al transito dei cumulo nembi e del comportamento dei versanti incombenti su aree abitate rappresentano le premesse di ripetute disgrazie idrogeologiche.

Che fare quando un incendio devasta i versanti?
Senza perdere tempo, dopo gli incendi, i sindaci dovrebbero fare delimitare su carte topografiche di dettaglio le aree percorse dal fuoco al fine di individuare i bacini imbriferi interessati e conseguentemente le aree urbanizzate, a valle, che potrebbero essere interessate rovinosamente da eventuali colate detritiche. Di seguito dovrebbero predisporre un piano di protezione civile per le aree potenzialmente interessate dai flussi detritici da attivare, in sinergia con la Protezione Civile Regionale, in relazione all’andamento delle piogge da monitorare con uno strumento dedicato, in modo da attuare le idonee misure di difesa della popolazione.

Ci si può difendere dai flussi detritici veloci e dalle piene che sono causati dai cumulo nembi? Sì! Con il Sistema di allarme idrogeologico immediato. Le nostre ricerche innovative hanno evidenziato che le precipitazioni molto intense che hanno innescato le colate detritiche degli ultimi anni (Messina sud nell’ottobre 2009 e messinese tirrenico nello scorso autunno) hanno un andamento tipico che può consentire di allertare l’area urbanizzata con almeno alcune decine di minuti di anticipo sull’eventuale arrivo di flussi fangoso-detritici; pochi minuti però sufficienti a liberare le strade, preventivamente individuate, dalle persone che vi stiano transitando attuando un piano localmente già messo a punto e verificato con esercitazioni pratiche. Dopo il disastro del messinese dell’ottobre 2009 evidenziammo che con l’attuale sistema di monitoraggio delle precipitazioni non si è in grado di capire in tempo reale se un cumulo nembo stia investendo una parte della superficie del suolo. Solo dopo il disastro lo sapremo; troppo tardi. Proprio come è accaduto ad Atrani il 9 settembre 2010. L’intensità della pioggia del cumulo nembo è nettamente superiore a quella delle piogge “normali”; pluviometri e moderni sensori meteo ubicati sul territorio con una maglia stretta e collegati in rete sono in grado di individuare e delimitare in tempo reale l’area investita dai cumulo nembi. In base alle caratteristiche morfologiche e geologiche devono essere costruiti preventivamente scenari di “effetti al suolo” nelle aree dove si possono innescare colate detritiche con il coinvolgimento di alberi d’alto fusto e blocchi lapidei (es. dove i versanti sono inclinati più di 30°) e dove invece vi sarà scorrimento di acqua superficiale e trasporto di sedimenti fini (versanti prevalentemente argillosi inclinati meno di 20° circa).
Un ruolo fondamentale per garantire una adeguata difesa dei cittadini è riservato al sistema di allarme idrogeologico immediato che deve rappresentare una novità assoluta nei sistemi di protezione civile in aree che possono essere interessate da eventi piovosi eccezionali rilasciati dai cumulo nembi. Dopo pochi minuti che i pluviometri hanno registrato che il bacino è interessato da piogge molto intense (rilasciate inequivocabilmente dai cumulo nembi) deve scattare l’allarme lungo l’alveo strada e le vie laterali che possono essere invase dai flussi idrici, fangosi e detritici che possono sopraggiungere dopo un periodo variabile da circa 15 a circa 30 minuti qualora nei bacini vi siano parti di versanti che sono state devastate dagli incendi oppure dopo diverse decine di minuti come accaduto a Vernazza (circa 5 ore)».

«Il piano di protezione civile – conclude Ortolani – deve individuare esattamente le aree che possono essere invase dall’acqua, fango e detriti e l’altezza massima inondabile. Quando scatta l’allarme i cittadini si devono portare almeno al primo piano o nelle parti dell’abitato più alte di almeno 5m rispetto alla strada ubicata sull’alveo. Le aperture (porte, finestre) devono essere chiuse con apparati stagni allo scattare dell’allarme. Lungo il bacino a monte dell’abitato e all’imbocco dell’alveo strada devono essere sistemati congegni per una videosorveglianza e per il controllo meccanico del deflusso in alveo in modo che può essere individuato il sopraggiungere di onde di piena».

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