«Politica, quote e grandi pescherecci: ecco come si massacrano tonni e pescatori con la scusa della salvaguardia»

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«Politica, quote e grandi pescherecci: ecco come si massacrano tonni e pescatori con la scusa della salvaguardia»

Sanno che la loro denuncia non farà tremare nessuna sedia. Sanno che probabilmente la loro sofferenza passerà sotto i nasi – di chi ha la responsabilità di averli ridotti al lastrico – come uno spiffero di vento. Sanno che arrivare a gridarlo su un giornale significa renderlo visibile a tanta gente e anche a qualche potente e, pur non sperando in nessun ritorno, lo gridano affinché «la gente sappia».

Basta scendere al primo molo di ormeggio, lato ponente, dei piccoli pescherecci di Marina di Camerota e la voce è unanime: «Chi siede dentro gli uffici e non conosce la vita dura del mare, finisce per fare scelte che ammazzano i piccoli e salvano i grandi». E già la sorte sembra appartenere ai pesci come ai pescatori, alle prede come ai predatori, qui dove i pesci grandi mangiano i piccoli e le barche grandi divorano quelle piccole. Ma cos’è che accade?

Semplicemente che i piccoli pescatori, con licenze da pesca da tanti anni, non possono più pescare i tonni con i quali hanno sfamato le loro famiglie per generazioni. La motivazione? La specie va salvaguardata. Ed è qui che la loro rabbia si fa più grossa delle onde del mare in burrasca. «Ma come – spiega uno di loro al giornaledelcilento – è possibile mai credere che la specie del tonno viene tutelata e preservata con il sistema delle quote ai grandi pescherecci? Chi se la beve che pescarne a vagonate significa tutelarli, mentre la colpa della loro progressiva estinzione sarebbe dei piccoli pescatori che fanno la pesca selettiva, quella vera?». «Ci hanno ridotti a farci la guerra tra di noi – racconta un altro pescatore che di anni per mare ne conta a decine – adesso ve la racconto io la vera storia di come funziona – aggiunge -. Allora io, dopo sessant’anni per mare, mi vedo costretto a fare la guerra con il pescatore piccolo come me e con l’altro ancora al nostro fianco, tutti obbligati a pescare merluzzi. Cos’altro possiamo pescare noi? Ecco, se io pesco un tonno di 50, 60 chili, sono costretto a sentirmi un ladro. Dopo sessant’anni di mestiere mi fanno sentire un ladro. Lo devo prendere e ributtare a mare. Anche se è morto o quasi. Altrimenti per me sono guai seri. Questa è la salvaguardia del tonno? E la salvaguardia del pescatore qual’è? Se vado a pesca con la mia piccola imbarcazione di certo non pesco tutti quei tonni che pescano questi mostri del mare autorizzati. La mia pesca sarà di per sé selettiva, non crea danni alla specie e fa sopravvivere un antico mestiere, questo si, in via d’estinzione. Se l’obiettivo era salvaguardare la specie era molto semplice fare le regole. Bastava eliminare la grande pesca selvaggia e consentire solo una pesca selettiva alle piccole imbarcazioni. Magari prevedendo anche delle piccole quote. E invece no. A pescare i tonni ci devono andare le ruspe del mare perché così hanno deciso quelli che decidono sulle nostre teste e sulle vite delle nostre famiglie».

Insomma lungo il molo di ormeggio di Marina di Camerota si accalcano i pescatori. La voce corre, si sa presto della presenza di un giornalista: «Scrivetele queste cose, si devono vergognare ad averci ridotti a farci la guerra tra noi. Volete saperlo come pescano quelli che hanno le quote per prendere i tonni? Bene vanno e prendono tutto quello che gli pare. Altro che quote. Poi prendono i soldi dallo stato per il fermo pesca. Poi vanno anche nei paesi dove non ci sono queste regole e ne prendono ancora, tanto con quelle flotte arrivano dove vogliono. A bordo hanno le reti a circuizione, con le quali fanno la pesca delle alici appena dopo la pesca del tonno. Infine portano con se anche qualche rete a strascico così, magari, sulla via del ritorno, fanno anche altre calate per prendere tutto quello che trovano e affamare ancora di più la piccola pesca. Se ne fregano dell’ambiente. Se ne fregano di preservare la specie. Ma intanto loro sono quelli che garantiscono la sopravvivenza del tonno e noi siamo quelli che la mettono in pericolo, secondo questi sapientoni che governano e decidono in Europa, come a Roma, come a Napoli e come a Salerno. Andate a vederli a Salerno, a Napoli o anche nei porti del Cilento chi sono quelli che hanno le quote, guardateli in faccia, provate a capire chi sono gli armatori, ve ne renderete conto da soli di cosa c’è dietro».

Uno di loro, il più giovane, che porta avanti una tradizione di generazioni, racconta: «Questa pesca del tonno, quando veniva fatta da piccole imbarcazioni da pesca era davvero una pesca selettiva. L’abbiamo sempre fatta con i palangari (strumenti da pesca noti anche come palamiti ndr.), un metodo che non crea danni alla specie, non spara sul mucchio, per capirci, non circuisce l’intero branco di pesci intrappolandolo, ma è un attrezzo di pesca professionale, costituito da una lunga lenza con inseriti, a intervalli regolari, spezzoni di lenza più sottile portanti ognuno un amo, che consente quindi una fisiologica selezione sul pescato. Ma non è possibile più farlo – aggiunge -. Mentre è possibile partire in flotta, con vere e proprie imbarcazioni da mattanza, pescare con le quote, ma tutti sanno che la legge viene raggirata in mille modi, e caricare, su quelle stesse imbarcazioni, anche altre reti per la pesca selvaggia di altri pesci. Questa è la verità che sappiamo noi tutti pescatori che per mare ci andiamo. Quella che raccontano negli uffici è un’altra storia che non ha niente a che vedere con la realtà, ma che probabilmente tiene in piedi un sistema di favori e favoritismi, clientele e business che arriva a livelli altissimi e contro i quali, piccoli lavoratori del mare come noi, non possono farci niente».

Questo borgo marino di Camerota è nato attorno alla pesca del tonno. Il primo insediamento, il primo nucleo di abitanti, risale ad alcuni pescatori della costiera tra Napoli e Salerno, che si trasferirono qui per le abbondanti pescate di tonno, nel periodo a cavallo tra la fine del 700 e l’inizio dell’800. Dapprima nell’area di porto Infreschi, noto come porto naturale in tutte le carte nautiche e oggi riconosciuto patrimonio naturalistico, dopo nella baia della Marina, vicino a dove è stato costruito il porto. Il tonno è all’origine di questa gente di mare. Veniva pescato e lavorato qui, in queste grotte che erano dei frigoriferi e degli essiccatoi naturali. Quei pescatori di fine 700 finiranno per insediarsi qui, e portare con se anche mogli e figli. Sono gli antenati di questi pescatori di oggi che al tonno guardano come ad una storia strappata dal tempo, rubata dalla politica. Un oltraggio a quella dignità di pescatori, che al mare portano rispetto, perché ne conoscono le insidie. Ma alla politica puntano il dito, per la stessa, insopportabile, ragione.

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