Inchiesta Chernobyl Vallo di Diano: ecco come e cosa scaricavano nei terreni

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Inchiesta Chernobyl Vallo di Diano: ecco come e cosa scaricavano nei terreni

Il processo Chernobyl, che sembra non avere alcuna svolta, rappresenta una delle problematiche più delicate della Campania, che tocca, come abbiamo già visto, anche territori del Vallo di Diano. L’inchiesta attualmente vede imputate 38 persone per vari reati. La maggior parte rischia di finire in prescrizione, compreso quello di ‘disastro ambientale’, e proprio per questa ragione il M5S ha deciso, pochi giorni fa, di effettuare dei sopralluoghi per mettere in mostra «quelli che sono realmente i danni causati all’ambiente al fine di riqualificare i terreni ed evitare che i responsabili rimangano impuniti». Tra i 38 imputati preoccupa molto il fatto che sette di loro sono originari del  Cilento o che vivano comunque sul margine del confine cilentano. Dei cinque c’è chi è nato ad Eboli e risiede a Capaccio, chi è nato ad Eboli e risiede ad Albanella, chi è nato ad Albanella e risiede a Capaccio, chi è nato sempre ad Albanella per spostarsi nel salernitano,  chi  è nato a Polla e risiede a Capaccio e due residenti a Teggiano (Vallo di Diano). Ma quali sono questi famosi materiali inquinanti e non illecitamente dispersi nell’ambiente? 

Gli smaltimenti illeciti di tutti i rifiuti speciali pervenuti nell’inchiesta Pietrisco: rifiuti prodotti dalla lavorazione della pietra. Scarti di tessuti vegetali: feci animali, urine e letame (comprese lettiere usate), effluenti separatamente raccolti e trattati fuori sito. Fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, fanghi prodotti da trattamento di lavaggio, sbucciatura e  centrifugazione dei componenti. Scarti inutilizzabili per il consumo o trasformazione. Imballaggi carta e cartone, imballaggi in legno, soluzione acquose: miscuglio scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche. Rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione. Liquidi prodotti dal trattamento enaerobico di rifiuti di origine animale. Fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane (fanghi del depuratore). Importante è anche capire che i 38 imputati si associavano tra loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti ambientali. 

Ma come hanno fatto Il tutto avveniva attraverso la redazione di falsi formulari di identificazione dei rifiuti, in questo compito, un ruolo fondamentale veniva svolto dal titolare del laboratorio di analisi chimiche di Capua che, si occupava di falsificare il quantitativo di rifiuti prelevato all’interno dei quattro depuratori pubblici attivi nella regione Campania. Ovviamente sono stati registrati degli aumenti illegittimi del peso di ogni singolo quantitativo caricato e trasportato al dine di far lievitare il peso complessivo dei rifiuti prelevati, trasporti e smaltiti ed ottenere, a loro volta, illegittimi profitti traendo in inganno gli enti pubblici. Tre sono gli impianti di depurazione, a gestione pubblica, implicati nella questione e che conferivano nell’impianto del Ferrentino: Mercato San Severino, Orta di Atella e Cuma.

In pratica,i produttori di rifiuti, dovrebbero assegnare ai materiali un codice specifico e far effettuare delle analisi prima di consegnarli ad un impianto. Ma se il produttore certifica il materiale esonera il lavoratore del ‘fango’ da ogni responsabilità e in questo caso il produttore è lo Stato. Al centro del processi ci sarebbe anche l’impianto di compostaggio di Gaetano Ferrentino, uno dei 38 imputati, che avrebbe utilizzato composto inquinante per i terreni orami risaputi del Vallo di Diano e della Piana del Sele. Durante il processo di trasformazione era infatti normale, per l’azienda, far analizzare le acque di lavorazione alla camera di commercio di Napoli. Finita la lavorazione del compost, nel giro di tre mesi, sarebbero state eseguite le analisi incrociate sul prodotto finito e sugli scarti. Le analisi servono per stabilire se il composto  può essere fertilizzante oppure no e quindi rilasciato in discarica. Queste manovre non sono però state effettuate  e i composti non fertilizzanti venivano spacciati per tali, tutto questo ha infatti determinato la conseguenza di un notevole inquinamento in vari terreni del Vallo di Diano.

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