“Vassallo è un eroe civile: me lo tengo stretto, dentro il mio cuore”: intervista a Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori
| di Giuseppe GalatoSono diventati di colpo, nel giro di pochissimi anni, la band di punta del panorama musicale italiano, della musica che conta in Italia, conquistando un seguito smisurato di fan e arrivando a calcare il palco del concerto del Primo Maggio a Roma: sono Il Teatro degli Orrori, un carrarmato di rock pronto ad esplodere con tutta la propria potenza sonora a Marina di Camerota il 2 giugno in occasione del Meeting del Mare.
Per l’occasione abbiamo scambiato qualche battuta con Pierpaolo Capovilla, frontman della band.
D: Partiamo dal vostro live in occasione del festival Meeting del Mare, il 2 giugno a Marina di Camerota, nel Cilento, in provincia di Salerno: cosa si deve aspettare il pubblico che ancora non è riuscito a vedervi live con questo nuovo album e con questa nuova formazione?
R: Un concerto de Il Teatro degli Orrori, ne più ne meno. Due ore di rock genuino, autentico, e radicale.
D: Parlando ancora di Cilento, all’assassinio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, hai dedicato un saluto al “sindaco pescatore” con un videomessaggio: che idea ti sei fatto di questa vicenda e come mai credi che, dopo l’interesse iniziale, non se ne parli quasi più?
R: Questo paese ha perso la memoria. Viviamo in un interminabile e reiterato presente quotidiano. Vassallo è un eroe civile: me lo tengo stretto, dentro il mio cuore: non se ne andrà mai, e poi mai.
D: Angelo Vassallo, poco prima di essere assassinato, aveva detto che si sentiva abbandonato dalla politica e, ancor di più, dal suo stesso partito, il PD: com’è possibile accadano determinate cose e cosa può fare un sindaco come Vassallo per evitare accadano?
R: La domanda dovrebbe essere questa: cosa possiamo fare noi, affinché non accadano più queste terribili ingiustizie?
D: Tu che rapporto hai con la politica? Credi nei partiti e negli uomini politici o pensi che questo tipo di democrazia sia un sistema ormai finalizzato ad illudere le masse di avere una scelta?
R: Sono stato iscritto al PD. Ci credevo. Tutto sommato, credo ancora che nel PD ci siano uomini e donne di buona volontà, a cominciare dai compagni veneziani che mi convinsero di partecipare alle attività del partito cittadino: gente che ci mette passione, e crede nel futuro. Rappresentano la base del partito: il problema vero sono i vertici, e i loro intollerabili privilegi. Non credo più nei partiti, credo nella società civile, di cui mi sento parte attiva.
D: Legata alla vicenda di Vassallo c’è quella di un altro personaggio morto in condizioni estreme: parliamo di Francesco Mastrogiovanni, di cui Vassallo firmò il TSO che lo porterà a morire in condizioni disumane costretto, legato, a un lettino di un ospedale psichiatrico dopo ben 83 ore di contenzione. Sulla figura di Mastrogiovanni c’è tutta una particolare serie di vicende intricate che partono dagli anni di piombo e dai suoi legami con i gruppi anarchici e la sua presunta implicazione nell’omicidio di un fascista a Salerno, Carlo Falvella, vicepresidente del Fronte Universitario d’Azione Nazionale di Salerno (organizzazione giovanile del MSI). Tu conosci la vicenda, cosa ne pensi e che spunto di riflessione se ne potrebbe trarre da tutto ciò?
R: Credo che una riflessione sullo stato e sulla funzione della psichiatria, e sull’uso costrittivo che viene fatto di questa, sia urgente e necessaria. Erving Goffman, nel suo “Asylums”, chiariva circostanziatamente come l’istituzione psichiatrica non fosse affatto al servizio del paziente, ma del medico. Medici e paramedici hanno ucciso il povero Franco: lo hanno fatto senza pensarci, senza la dovuta coscienza del proprio lavoro e del proprio ruolo nella società: un’inconsapevolezza profondamente colpevole. Ippocrate, per questi miserabili individui, è un nome sconosciuto.
D: Il ’68, l’attivismo di sinistra, il movimento studentesco e operaio: tutte espressioni di un disagio manifestazione di una società capitalistica repressiva. Una società ancora oggi, e forse come non mai, violenta nei confronti delle classi più deboli. Mi sembra che il potere abbia saputo sfruttare a proprio uso ed abuso anche questi movimenti, fino a quello dei No Global e via dicendo. Il potere ha saputo riorganizzarsi ed evolversi. Cos’è successo a questi movimenti? Hanno fallito? E, se è così, perché credi sia accaduto ciò?
R: Proprio ieri sono andato al Rivolta, il centro sociale occupato di Marghera, fra i più importanti in Italia, a intervistare Michele, un militante di lungo corso. Mi sono accorto che questi ragazzi, gli “antagonisti”, esistono ancora, e sono moralmente più forti di prima. Nel Rivolta ci sono tre splendide sale per concerti, teatro, cinema; una biblioteca, una scuola di Italiano per migranti, dove insegnano docenti in pensione, un centro di accoglienza emergenziale per i senza dimora, una palestra popolare; sul tetto del capannone centrale stanno sistemando il fotovoltaico, e fra non molto organizzeranno un area di ospitalità per il turismo alternativo. Niente male, non credi? Abbiamo suonato al Teatro Valle occupato: vi abbiamo trovato giovani e meno giovani nel cui cuore batte la passione. In Luglio sarò al Teatro Garibaldi a Palermo, e al Coppola, a Catania, per dare il mio piccolo contributo alla sacrosanta lotta dei lavoratori dello spettacolo e della cultura. A Milano gli “antagonisti” hanno occupato un grattacielo, che vogliono trasformare in un centro multifunzionale dedicato alle arti e aperto a tutti: Boeri non sembra dispiacersene, anzi. Insomma, direi che il movimento è stato gravemente ferito, ma non è morto, e non è agonizzante.
D: La tua missione, con Il Teatro degli Orrori, è quella di fare la “rivoluzione” partendo dalla cultura. La rivoluzione, storia ci insegna, parte dalle masse. Come si fa a portare la cultura alle masse, che troppo spesso si lasciano soggiogare dai media che tentano (e riescono, a quanto pare) in tutti i modi di annichilire l’impulso dell’individuo a farsi una cultura propria?
R: Beh … Non credo si possa fare la rivoluzione con le canzoni. Possiamo contribuire, certo. Certissimamente. Sono convinto che la musica popolare possa contribuire alla rimodulazione dell’immaginario collettivo, nel segno della cultura e della cittadinanza. Ognuno di noi può fare la propria rivoluzione: liberarsi della TV, dei social-network (quando li usiamo solo per farci vedere, per pavoneggiarci), e riscoprire il desiderio di stare insieme, di parlarci, di essere parte attiva del e nel paese, sarebbe un buon punto di partenza.
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