“Vassallo è un eroe civile: me lo tengo stretto, dentro il mio cuore”: intervista a Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori

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“Vassallo è un eroe civile: me lo tengo stretto, dentro il mio cuore”: intervista a Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori

Sono diventati di colpo, nel giro di pochissimi anni, la band di punta del panorama musicale italiano, della musica che conta in Italia, conquistando un seguito smisurato di fan e arrivando a calcare il palco del concerto del Primo Maggio a Roma: sono Il Teatro degli Orrori, un carrarmato di rock pronto ad esplodere con tutta la propria potenza sonora a Marina di Camerota il 2 giugno in occasione del Meeting del Mare.

Per l’occasione abbiamo scambiato qualche battuta con Pierpaolo Capovilla, frontman della band.

D: Partiamo dal vostro live in occasione del festival Meeting del Mare, il 2 giugno a Marina di Camerota, nel Cilento, in provincia di Salerno: cosa si deve aspettare il pubblico che ancora non è riuscito a vedervi live con questo nuovo album e con questa nuova formazione?
R: Un concerto de Il Teatro degli Orrori, ne più ne meno. Due ore di rock genuino, autentico, e radicale.

D: Parlando ancora di Cilento, all’assassinio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, hai dedicato un saluto al “sindaco pescatore” con un videomessaggio: che idea ti sei fatto di questa vicenda e come mai credi che, dopo l’interesse iniziale, non se ne parli quasi più?
R: Questo paese ha perso la memoria. Viviamo in un interminabile e reiterato presente quotidiano. Vassallo è un eroe civile: me lo tengo stretto, dentro il mio cuore: non se ne andrà mai, e poi mai.

D: Angelo Vassallo, poco prima di essere assassinato, aveva detto che si sentiva abbandonato dalla politica e, ancor di più, dal suo stesso partito, il PD: com’è possibile accadano determinate cose e cosa può fare un sindaco come Vassallo per evitare accadano?
R: La domanda dovrebbe essere questa: cosa possiamo fare noi, affinché non accadano più queste terribili ingiustizie?

D: Tu che rapporto hai con la politica? Credi nei partiti e negli uomini politici o pensi che questo tipo di democrazia sia un sistema ormai finalizzato ad illudere le masse di avere una scelta?
R: Sono stato iscritto al PD. Ci credevo. Tutto sommato, credo ancora che nel PD ci siano uomini e donne di buona volontà, a cominciare dai compagni veneziani che mi convinsero di partecipare alle attività del partito cittadino: gente che ci mette passione, e crede nel futuro. Rappresentano la base del partito: il problema vero sono i vertici, e i loro intollerabili privilegi. Non credo più nei partiti, credo nella società civile, di cui mi sento parte attiva.

D: Legata alla vicenda di Vassallo c’è quella di un altro personaggio morto in condizioni estreme: parliamo di Francesco Mastrogiovanni, di cui Vassallo firmò il TSO che lo porterà a morire in condizioni disumane costretto, legato, a un lettino di un ospedale psichiatrico dopo ben 83 ore di contenzione. Sulla figura di Mastrogiovanni c’è tutta una particolare serie di vicende intricate che partono dagli anni di piombo e dai suoi legami con i gruppi anarchici e la sua presunta implicazione nell’omicidio di un fascista a Salerno, Carlo Falvella, vicepresidente del Fronte Universitario d’Azione Nazionale di Salerno (organizzazione giovanile del MSI). Tu conosci la vicenda, cosa ne pensi e che spunto di riflessione se ne potrebbe trarre da tutto ciò?
R: Credo che una riflessione sullo stato e sulla funzione della psichiatria, e sull’uso costrittivo che viene fatto di questa, sia urgente e necessaria. Erving Goffman, nel suo “Asylums”, chiariva circostanziatamente come l’istituzione psichiatrica non fosse affatto al servizio del paziente, ma del medico. Medici e paramedici hanno ucciso il povero Franco: lo hanno fatto senza pensarci, senza la dovuta coscienza del proprio lavoro e del proprio ruolo nella società: un’inconsapevolezza profondamente colpevole. Ippocrate, per questi miserabili individui, è un nome sconosciuto.

D: Il ’68, l’attivismo di sinistra, il movimento studentesco e operaio: tutte espressioni di un disagio manifestazione di una società capitalistica repressiva. Una società ancora oggi, e forse come non mai, violenta nei confronti delle classi più deboli. Mi sembra che il potere abbia saputo sfruttare a proprio uso ed abuso anche questi movimenti, fino a quello dei No Global e via dicendo. Il potere ha saputo riorganizzarsi ed evolversi. Cos’è successo a questi movimenti? Hanno fallito? E, se è così, perché credi sia accaduto ciò?
R: Proprio ieri sono andato al Rivolta, il centro sociale occupato di Marghera, fra i più importanti in Italia, a intervistare Michele, un militante di lungo corso. Mi sono accorto che questi ragazzi, gli “antagonisti”, esistono ancora, e sono moralmente più forti di prima. Nel Rivolta ci sono tre splendide sale per concerti, teatro, cinema; una biblioteca, una scuola di Italiano per migranti, dove insegnano docenti in pensione, un centro di accoglienza emergenziale per i senza dimora, una palestra popolare; sul tetto del capannone centrale stanno sistemando il fotovoltaico, e fra non molto organizzeranno un area di ospitalità per il turismo alternativo. Niente male, non credi? Abbiamo suonato al Teatro Valle occupato: vi abbiamo trovato giovani e meno giovani nel cui cuore batte la passione. In Luglio sarò al Teatro Garibaldi a Palermo, e al Coppola, a Catania, per dare il mio piccolo contributo alla sacrosanta lotta dei lavoratori dello spettacolo e della cultura. A Milano gli “antagonisti” hanno occupato un grattacielo, che vogliono trasformare in un centro multifunzionale dedicato alle arti e aperto a tutti: Boeri non sembra dispiacersene, anzi. Insomma, direi che il movimento è stato gravemente ferito, ma non è morto, e non è agonizzante.

D: La tua missione, con Il Teatro degli Orrori, è quella di fare la “rivoluzione” partendo dalla cultura. La rivoluzione, storia ci insegna, parte dalle masse. Come si fa a portare la cultura alle masse, che troppo spesso si lasciano soggiogare dai media che tentano (e riescono, a quanto pare) in tutti i modi di annichilire l’impulso dell’individuo a farsi una cultura propria?
R: Beh … Non credo si possa fare la rivoluzione con le canzoni. Possiamo contribuire, certo. Certissimamente. Sono convinto che la musica popolare possa contribuire alla rimodulazione dell’immaginario collettivo, nel segno della cultura e della cittadinanza. Ognuno di noi può fare la propria rivoluzione: liberarsi della TV, dei social-network (quando li usiamo solo per farci vedere, per pavoneggiarci), e riscoprire il desiderio di stare insieme, di parlarci, di essere parte attiva del e nel paese, sarebbe un buon punto di partenza.

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