I casi Mastrogiovanni e Casalnuovo arrivano al parlamento Ue, presentato dossier sugli abusi in divisa

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I casi Mastrogiovanni e Casalnuovo arrivano al parlamento Ue, presentato dossier sugli abusi in divisa

C’era Grazia Serra, nipote di Franco Mastrogiovanni, e Osvaldo Casalnuovo, papà di Massimo. C’erano loro e Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Claudia Budroni, Andrea Magherini, Domenica Ferrulli, Rudra Bianzino. Loro e le loro storie di dolore sono arrivate al parlamento europeo, con il sostegno dell’associazione Acad. L’eurodeputata Eleonora Forenza de L’altra Europa – gruppo Gue/Ngl, insieme a una delegazione di Acad ha organizzato un’audizione al parlamento europeo, che si è svolta mercoledì 15 marzo dalle 15 alle 18. Hanno presentato un dossier sull’anomalia italiana degli abusi in divisa ‘Anomalia Italia’ e per la prima volta alcuni familiari di vittime di tortura di Stato hanno avuto la possibilità di raccontare le loro storie in una sede istituzionale europea. Erano presenti anche l’associazione Giuristi Democratici e L’osservatorio sulla Repressione.

Sono lì per denunciare la difficoltà in Italia dei processi agli uomini in divisa. «In Italia, processare un uomo in divisa è difficile come processare uno stupratore perché scatta immediatamente lo stesso meccanismo di criminalizzazione della vittima, di ‘vittimizzazione secondaria’ – scrivono nel dossier – in barba alle raccomandazioni dell’Ue risalenti già a quattro anni fa». La delegazione dei parenti delle vittime al parlamento europeo ha consegnato un plico che contiene le vicende di un paese che scopre di avere «un problema» con le sue forze dell’ordine. L’elenco dei nomi consegnato sui tavoli di Bruxelles è lungo. Insieme a Cucchi, Sandri, Uva, Aldovrandi, ci sono quelli dei cilentani Francesco Mastrogiovanni, Massimo Casalnuovo e Massimiliano Manzone. 

«L’anomalia italiana – continuano – sono centinaia di famiglie catapultate sulla scena pubblica, per chiedere verità e giustizia, da una vicenda drammatica e irrimediabile come l’uccisione o la tortura di un loro caro da parte di appartenenti alle forze dell’ordine. Sono donne e uomini che mai avrebbero pensato di doversi difendere dallo Stato e, come altre centinaia di famiglie di vittime delle stragi di Stato degli anni 70, hanno dovuto iniziare a girare l’Italia in lungo e in largo per rompere la loro solitudine e costruire quel tessuto di solidarietà e quello spazio pubblico di controinformazione e mobilitazione, necessari per far crescere la massa critica per tentare di arginare quegli abusi». 

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