“Il partito dei Magistrati”: toghe rosse, Berlusconi e Giustizia Italiana nelle parole di Mauro Mellini

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“Il partito dei Magistrati”: toghe rosse, Berlusconi e Giustizia Italiana nelle parole di Mauro Mellini

La fondazione Gianbattista Vico di Vatolla ha organizzato il 31 gennaio, a Roma, la presentazione del libro “Il partito dei Magistrati”, scritto dall’avvocato e politico Mauro Mellini.

Per l’occasione abbiamo voluto fare qualche domanda al politico del Partito Radicale, già componente del Consiglio Superiore della Magistratura e cofondatore (insieme a Alessio Di Carlo) del periodico on-line Giustizia Giusta.

D: Introduca brevemente il nostro pubblico al suo libro, “Il partito dei Magistrati”.
R: La crisi della giustizia in Italia non è crisi di funzionalità ma dell’equilibrio dei poteri dello Stato e, tra questi, del potere giudiziario che, per una molteplicità di cause, negli ultimi cinquant’anni ha finito per debordare ponendosi finalità e compiti diversi da quelli che gli sono propri. La classe politica ha in vario modo contribuito a queste attribuzioni abnormi al potere giudiziario. Questo libro è la storia e l’analisi di questa singolare devianza istituzionale.

D: Cosa indica l’espressione “Il partito dei Magistrati”?
R: Il Partito dei Magistrati è la conseguenza di questa deformazione del sistema. Le finalità abnormi della giustizia “deviata” importano scelte politiche. Per attuarle la magistratura, spesso senza che i singoli componenti se ne avvedano, si trasforma in partito. Dopo il “partito-Stato” dell’autoritarismo e del totalitarismo, abbiamo il “pezzo dello Stato-partito”. Qualcosa di abnorme e pericoloso.

D: Com’è nata la collaborazione con Giuliano Ferrara?
R: Collaborazione con Giuliano Ferrara? Magari! Siamo amici, lo stimo e lui ha, mi sembra, qualche po’ di stima di me.

D: 15 anni di berlusconismo: come ne esce la Giustizia Italiana dopo tanti anni di attacchi politici e tentavi di Riforma della Giustizia?
R: Non è la Giustizia Italiana, ma è il Partito dei Magistrati che esce vincitore da una lunga lotta in cui è stato la forza di punta contro il governo Berlusconi, che aveva sbarrato la strada alla conclusione di Mani Pulite che protagonisti e registi se ne proponevano. Le riforme? Il Partito dei Magistrati si è opposto a tutte quelle che fossero tali. Ha trovato sempre delle sponde anche nello schieramento di quelli che avrebbero dovuto essere gli amici del Cavaliere.

D: L’Italia da anni è fanalino di coda nelle classifiche sull’efficienza del Sistema Giudiziario e dei Tempi dei Processi e, nonostante la propaganda del governo precedente, le cose non sono migliorate: che ne pensa?
R: Qualche volta ho provocato scandalo affermando che la lentezza della giustizia italiana, troppo spesso improntata ad andazzi sconsiderati, a mode ed a ventate politiche e demagogiche, non è il male peggiore. Se la giustizia deve essere rapida, l’ingiustizia è bene che sia lenta, più lenta possibile. Potrei fare molti esempi.

D: Il rapporto Doing Business 2012 della Banca Mondiale ha messo l’Italia agli ultimi posti in Europa e nel mondo (158° su 183 Paesi, a di sotto di Vietnam, Gambia e Mongolia) come efficienza della giustizia: la Giustizia Italiana sta effettivamente vivendo una situazione così critica?
R: Sì. La situazione della giustizia è critica. Soprattutto perché ben pochi o forse nessuno, hanno idee chiare in proposito e nessuno è disposto ad affrontare una dura lotta politica ed istituzionale per venirne a capo.

D: 15 Ex-Magistrati e 134 Avvocati tra Camera e Senato: fanno bene o male a questo paese?
R: La presenza di alcuni magistrati tra i parlamentari rappresenta anche il prezzo con il quale alcune forze politiche hanno ritenuto di saldare i conti col partito dei magistrati. Sbagliando di grosso. Quanto agli avvocati, essi hanno da sempre costituito una delle categorie più impegnate nella politica e nei Parlamenti. C’è da dolersi non del loro numero, ma, semmai, di un certo scadimento della qualità.

D: Lei viene considerato un “Garantista” e un gran difensore della Costituzione. Cosa ne pensa dell’art. 71 della Costituzione (“Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”). Perché criticò così tanto Grillo quando presentò una “legge di iniziativa popolare” dedicata soprattutto alla legge elettorale (vedi link)?
R: Non posso dilungarmi come sarebbe necessario per dimostrare che la norma che prevede le leggi di iniziativa popolare è una delle meno concludenti ed utili della Costituzione. Quanto a Beppe Grillo ritengo che l’“antipolitica” è una delle ragioni della degenerazione della politica. L’antipolitica dei comici, oltre che alla degenerazione della politica, porta spesso allo scadimento della comicità e della satira.

D: Stiamo vivendo un periodo critico per l’Italia, dove il disagio sociale sta aumentando anche per colpa della crisi economica (presunta o tale che sia). C’è da preoccuparti per il malumore che si sta sempre più diffondendo in Italia? C’è un “pericolo sicurezza”?
R: C’è sempre un “pericolo sicurezza”. E c’è sempre il pericolo che se ne tragga pretesto per sopraffazioni e per ricorrere ad illegalità e ad abusi. Parlo, sia chiaro, anche con riferimento a mafia ed antimafia.

D: Si è sentito, nei tempi scorsi, un sacco parlare di “toghe rosse”: quanto c’è di veritiero in questa denominazione?
R: Toghe rosse? La loro migliore definizione l’hanno data esse stesse nei verbosi articoli sulla loro rivista: “Magistratura Democratica”. Hanno negato il valore della “certezza del diritto” affermando che l’interpretrazione delle leggi deve rispondere al “pluralismo culturale” dei singoli magistrati. Ciò equivale ad una giustizia a misura di quelli che l’amministrano anziché del popolo su cui ed in nome del quale è esercitata. Hanno teorizzato l’“uso alternativo della giustizia” e “la via giudiziaria al socialismo” cioè una giustizia in funzione di finalità eversive politiche e di parte. Ma Magistratura Democratica fu sempre divisa tra quelli vicini agli extraparlamentari (compreso Potere Operaio, retroterra politico delle Brigate Rosse) e quelli allineati col PCI. Hanno prevalso questi ultimi quando Magistratura Democratica è divenuta egemone della “corporazione”. Si può dire, però, che sia stato piuttosto il Partito Comunista (ed oggi il PD) ad essere a rimorchio del Partito dei Magistrati e non viceversa, malgrado le apparenze, che in qualche momento, grazie anche alla strategia di Luciano Violante, hanno fatto pensare che fosse il PCI a guidare la cordata.

D: In definitiva cosa significa “toga rossa”? Un magistrato che condivide i valori del comunismo? E perché questa denominazione dovrebbe avere un’accezione negativa? In generale sembra che il termine “comunista” abbia assunto una valenza negativa. Attualmente crede che in Italia ci sia un “potere comunista” così forte e radicato che riesce a controllare anche la magistratura? Secondo lei la magistratura, indipendentemente dalle presunte “toghe rosse”, è politicizzata? E, se lo è, chi è che ne detiene il controllo politico e a che pro? E, nel caso la magistratura sia politicizzata ma distaccata da schieramenti esterni ad essa, non crede che in definitiva possa in questo caso essere accostata ad una società di tipo massonico?
R: Oggi si può dire che tra le “punte politicizzate” degli anni ’70 e ’80 e la “corporazione”, la saldatura sia completa. Le vecchie “Toghe rosse” hanno dismesso i toni rivoluzionari e gestiscono accortamente il loro potere clientelare assecondando gli interessi della massa dei magistrati (vanificazione del potere disciplinare, assenza di responsabilità, potere della giurisdizione prevalente sugli altri poteri dello Stato). E sono egemoni nella Magistratura e “Signori della Giustizia”. Che cosa vuole il Partito dei Magistrati? Vuole anzitutto potere. E’ insofferente dei partiti e della “politica”. Cavalca la demagogia “antipolitica” ed un certo scetticismo verso la democrazia. Ed altro ancora… legga il libro.

D: Cos’è la democrazia? Esiste davvero o risulta nulla quando le masse, che sono poi quelle che “fanno” la democrazia, sono veicolate al voto tramite strategie di marketing che non permettono di fatto all’individuo di avere una propria opinione personale? Mi spiego meglio: a mio avviso una persona è libera quando ciò che pensa (posizioni politiche come culturali e legate a qualsiasi altro aspetto della vita) è il risultato di un percorso fatto di analisi personale. Troppo spesso invece assistiamo a modi di porsi di parte a priori, dogmatici, oserei dire: opinioni che opinioni di fatto non sono, nate grazie a messaggi veicolati alla stregua di una qualsiasi pubblicità. Messaggi che vengono assunti dal fruitore in modo passivo senza che questi possano essere messi in discussione. Messaggi accettati senza che vi sia un’analisi da parte dell’individuo. Insomma, manca il dubbio.
R: Che cos’è la democrazia? Legga Aristotele e, si parva licet… con quel che segue. E legga quel che scrivono i tanti politologhi. Non lo domandi a me, che della democrazia ritengo dover obbedire alle leggi piuttosto che insegnarla agli altri. E faccia attenzione alle contraffazioni.

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