“Il fiore dell’agave”: il Cilento di Raffaele De Pascale, fra sbarchi saraceni e Masaniello

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“Il fiore dell’agave”: il Cilento di Raffaele De Pascale, fra sbarchi saraceni e Masaniello

Dalla lettura del romanzo breve “Il fiore dell’agave”, di Raffaele De Pascale, si rimane perplessi.

Esso sembra sfuggire a tutte le categorie letterarie a cui si è abituati, rendendo quasi impossibile identificare dei parametri di valutazione affidabili.

È un romanzo, certo, o un lungo racconto. Ma, se si tenta di delineare la trama, ci si avvede che, in realtà, vengono proposti in successione otto racconti, tanti quanti sono i capitoli del libro.

Ciascuno di essi segue un suo percorso narrativo, una sorta di filo teso quasi a spezzarsi. Quando la situazione evocata raggiunge l’acume ed il pathos vibra in un crescendo fino al massimo, poi, gradatamente, si placa, si distende in una tragica severità.

Questi fili, però, si intrecciano nel proseguo del narrato, formando una fitta ragnatela di riferimenti, una “ragna”, a voler riprendere una parola usata frequentemente dall’autore: un labirinto, un ginepraio, una struttura a più strati che spalanca prospettive a nuove e sempre più complesse chiavi di lettura.

Al centro di tale micro universo si sfoglia l’ambientazione che ha non solo un colore, una luce, ma addirittura un profumo inconfondibile.

Secondo il lettore è questa la cifra emblematica dell’intero libro. È vano inoltrarsi nei meandri della struttura nel tentativo di individuare precedenti analogie, parallelismi.

Si potrebbe pensare, in una prima valutazione, ad un sorpassato di verismo nell’evocazione di certe atmosfere paesane, ma non troviamo il distacco impassibile di Verga o Capuano, perché l’autore è compartecipe delle vicende di Iacopo, Giulia, Ricuccio e Crisalinda, le cui vite si incontrano nello svolgersi degli eventi.

Ancora meno pertinente sarebbe un richiamo al romanticismo minore, in quanto, nel clima generale del racconto, non vi è nulla di meno romantico, per cui il vorticoso affollarsi di particolari caratterizzanti una realtà peculiare delineata con mano forte estranea ai cliché tardo ottocenteschi, aliena nel patetico da cui la tragedia scaturisce naturale, quasi per forza d’inerzia, ma con l’energia con cui l’acqua rampolla dalla sorgente.

Ciò che sbalordisce nel romanzo è lo stile. Nonostante il succedersi di avanguardie e neo-avanguardie nella letteratura Italiana, finora non si era visto niente di simile. Risalta certamente la vasta cultura dell’autore e la sua perfetta padronanza del mezzo linguistico.

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