Passato e futuro in un chicco di grano, il reportage del “Palio del Grano” di Caselle in Pittari (PHOTOGALLERY)

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Passato e futuro in un chicco di grano, il reportage del “Palio del Grano” di Caselle in Pittari (PHOTOGALLERY)

Ne parlano tutti. Sai come funziona, eppure vuoi essere lì a vederlo il Palio. Vuoi toccarlo, respirarlo, viverlo. E’ come entrare in un quadro: volti stanchi e cotti dal sole, sullo sfondo una distesa di grano e alle spalle un borgo antico e silenzioso. Una piccola rivoluzione contemporanea.

Gente dappertutto. Colori, vociare, costumi antichi. Qui, a Caselle in Pittari, è gara.

Verso le 6 piazza ‘Urmu’ inizia a riempirsi. Arrivano i rioni, i compari vicini. Pochi istanti e inizia la benedizione del parroco di Caselle, Don Antonino. Un applauso e si parte per San Nicola, il campo di gara. Per le strade e tra i vicoli stretti bandierine e colori. I casellesi, felici e concentrati sul Palio; noi, turisti e spettatori, la cornice di pubblico impaziente.

Al campo di grano ci aspetta un caldo africano, un sole cocente nonostante l’orologio suoni appena le 8. C’è un anziano con il bastone e un cappello di paglia. «Come funziona?», gli chiedo.

«E’ una gara di mietitura: ogni contrada ha una striscia di campo da mietere. I rioni di Caselle in Pittari sono 8 e con loro 8 paesi compari a contendersi la vittoria. In ogni squadra 12 giocatori». Mi indica un teatro allestito con la paglia. «Lo vedi quello? E’ il teatro di grano. Un anfiteatro realizzato con paglia ed altri materiali sostenibili».

Saluto l’anziano. Attorno a noi è pieno di gente. Tutti occupati a scegliere il posto migliore dal quale seguire la gara o a ripararsi dal caldo e dal sole.

Gli speakers, dall’alto della loro postazione di paglia, annunciano l’ordine dei rioni e la divisione del campo, ricordano il regolamento e la diretta web. Raccontano, nell’attesa di dare il via alla gara, della settimana di preparazione al Palio con Camp di grano che ha visto 30 ragazzi, arrivati da tutta Italia, mietere e scambiarsi esperienze, seguire laboratori e workshop con indigeni e cantastorie, architetti e botanici.

Dopo il silenzio, quasi religioso, di un minuto da dedicare a tutte le vittime del 2012, un’esplosione di urla di migliaia di persone annuncia l’inizio dell’ottava edizione del Palio del grano. Gli uomini si danno il cambio con la falce, salgono le “irmitrici” a raccogliere il grano mietuto e organizzarlo in fasce, urlano, si incoraggiano e chiedono acqua per dissetarsi. I volti cotti e sudati, le mani sporche di terra e i vestiti pieni di spighe e ariste di grano. Mezz’ora o poco più e la gara è finita. Si contendono alla fine la vittoria due rioni agguerriti ma quest’anno trionfa l’Urmu. Si abbracciano e si commuovono. “Putiti fa milli abbillimenti, purtativi puri li guarnimienti ma quanna l’urmu si mitti a meti nun c’è nisciuni ca poti competi” è lo striscione bianco che dava il benvenuto alla contrada casellese, all’inizio di Piazza Roma, come a voler dire che quest’anno tutto era già destinato.

Tra vincitori e vinti però c’è un chicco di grano, un abbraccio e un bicchiere di vino. Festeggiano tutti perché è la festa di Caselle in Pittari. E poco importa arrivare ultimi, sotto la frescura di un hashtag di paglia realizzato dai ragazzi del Camp di grano, c’è cibo e vino per tutti.

Aspettiamo la “pisatura” del grano con i buoi nel teatro di paglia realizzato dal giovane architetto di casa, Giuseppe Fiscina ma l’occhio cade su una parete di paglia, a pochi metri dal teatro. E’ un’installazione di Land art, un “Orto verticale” realizzato da Marco Galafassi e Nathalie Alony, due artisti mantovani. L’opera, una parete verticale di paglia con un cerchio centrale composto di terra del campo e grano mietuto, sarà annaffiato e fotografato nel corso dei mesi dai ragazzi della Proloco di Caselle e il grano, quindi, crescerà in verticale. «Abbiamo costruito il muro di paglia, imparato i segreti della terra, chiesto consigli a contadini e agronomi ed è nata questa installazione. Il processo artistico è naturale ed ecosostenibile e al termine sarà dato agli animali», ci ha spiegato l’artista, Marco Galafassi.

Nel tardo pomeriggio, dopo una tarantelle e un pisolino, si riparte con la trebbiatura e gli ultimi sudori. Abbandoniamo il campo, al tramonto, con un po’ di tristezza nel cuore ma con la consapevolezza che in quel chicco di grano di Cilento qualcosa è cambiato per sempre.

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(Photogallery a cura di Marianna Vallone)

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