Le meraviglie del Museo Archeologico Nazionale di Paestum, I. la tomba del Tuffatore: abbandonare la morte
| di Laura Del VermeIl 3 giugno del 1968 in località Tempa del Prete, a 1,5 km a sud di Poseidonia, in una piccola necropoli, fu rinvenuta da Mario Napoli, intatta, l’unica tomba greca arcaica, dipinta con scene figurate, finora documentata a Paestum. L’archeologo riporta anche la notizia di una seconda tomba, dello stesso tipo, ma solo intonacata e priva di corredo, individuata e scavata nella stessa area. Quella del Tuffatore, è una tomba a cassa; decorata, nella lastra principale, con la celebre scena del tuffo, ed in quelle laterali con una scena di simposio. Un nucleo di immagini complesso, che è stato sempre considerato l’espressione di una logica formale rigorosa, funzione di un livello psicologico profondo. Tutti gli studi sull’argomento concordano sulla definizione di scena simbolica per quanto riguarda il tuffo che non può essere interpretato come una situazione reale, cioè un tuffo sportivo.
Chi si spinge ad una lettura iconologica della narrazione visiva, ricostruisce un contesto culturale che ha le sue radici più profonde nella poesia colta e nella tradizione mitica ed istituisce un rapporto tra il momento del simposio ed il gesto del tuffarsi, dimostrando cioè che l’esperienza conviviale del simposio, dell’abbandono causato dalla musica, dall’eros, possa connotarsi come l’immersione nel mare di una diversa dimensione della conoscenza. Tuffarsi, lasciando una data realtà è il primo gesto di defezione dalle norme che chi esercita il potere impone alla società e ai singoli. Diventa, se legato ad un momento estremo come quello della morte, la ferma volontà di poter assaporare la forte emozione di chi prende definitivamente congedo dalle forme, condivise o subite in vita, del dominio.
E’ un gesto semplice che riveste molteplici significati: aprirsi all’ignoto, paura per ciò che è sconosciuto, curiosità per ciò che è altro, incontro con un universo differente, sospensione tra mondi diversi. In chiave politica, il tuffo è una metafora della presa di parola, di quell’atto che prende le distanze dall’ordine costituito e si pone in un rapporto conflittuale con esso. Se non fosse irriverente, si potrebbe dire che l’atto del tuffarsi è una metafora di una militanza che si pone in un rapporto dialogico, alla pari con la realtà che vuole trasformare. In chiave psicologica indica sia un gesto di libertà, ma anche la scommessa di mettersi in gioco rispetto una situazione di cui si conosce poco o forse nulla.
Esposta nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Paestum, la scena offre, ad un attento visitatore, innumerevoli suggestioni. Il nostro Tuffatore cade dall’alto, dov’è la vita, nell’Oceano della Morte. È l’interpretazione di Mario Napoli e di Ranuccio Bianchi Bandinelli che riprendono un passo isolato della tradizione omerica nel quale vengono ricordati come un unico contesto: le correnti di Oceano, la Rupe Bianca, le porte del Sole ed il popolo dei Sogni (Odissea XXIV, 11-12).
Nel breve racconto di Kafka, La Partenza, al servo che gli sella il cavallo e gli chiede dove vada, il padrone risponde: “Non lo so. Pur che sia via di qua, via di qua, sempre via di qua, soltanto così posso raggiungere la mia meta.” Anche questa risposta ben si adatta all’enigmatico salto del tuffatore più vecchio del mondo.
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