Pino Aprile al Festival della letteratura a Salerno: sala divisa tra chi lo ama e chi lo contesta

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Pino Aprile al Festival della letteratura a Salerno: sala divisa tra chi lo ama e chi lo contesta

Pino Aprile in pompa magna al festival della letteratura di Salerno, sabato alle ore 11.30 e la sala si è divisa tra chi lo ama e chi lo contesta. Certamente i titoli dei suoi libri sono opinabili, si nutre del germe che tenta di sconfiggere utilizzando la stessa macchinazione linguistica degli altri, ossia dei nordici. Per quanto i suoi intenti siano ‘lodevoli’ è aberrante dedicarsi con così tanta leggerezza al linguaggio nemico. Paradossalmente fa il gioco dei colonizzatori di un tempo, utilizza le stesse litanie piene di eccentrico fascino per conformarsi all’accezione comune, senza avere pietà per il popolo meridionale. Fare luce sugli accadimenti unitari non dev’essere un gioco sterile e senza uscite reali. La dignità del meridione non deve passare attraverso le maglie strettissime del luogo comune; anche Pino Aprile ha ceduto ai vincitori della conquista del sud, è stato vinto nonostante si senta il portavoce di un popolo offeso, ma lui è il più grande mistificatore. Il Sud è decaduto perché al suo interno aveva le forme più triviali del parassitismo, il ritratto esemplare è rappresentato da Liborio Romano.

Romano e Aprile hanno qualcosa in comune che va oltre il vanesio, entrambi meridionali e nella pretesa di non offendere nessuno hanno acceso la pericolosissima miccia del ‘male minore’ giustificato dall’ideale. Aprile sembra un personaggio esemplare, non credo nella sua cattiva fede, ma sbaglia l’approccio scegliendo di utilizzare armi nemiche e accresce le mortificazioni di sempre. L’incontro di ieri aveva per titolo ‘Terroni alla riscossa’, una retorica stucchevole, specchio per allodolette mediocri che credono al disarmo delle disuguaglianze, il gioco dell’oca affidato agli zelanti ‘piemontesi contemporanei’ e costoro sono i figli di quei ‘briganti’ troppo spesso sfruttati per accrescere il fascino esotico del meridione (non della terronia). I fini non possono giustificare sempre i mezzi, questa lotta semantica schiaccia tra l’incudine ed il martello l’orgoglio di un popolo ferito e ne cancella la memoria del lutto. Il meridione non esiste più, ormai la nostra terra viene chiamata ‘Terronia’ e grazie al sign. Aprile, le menti degli altri sono chiuse per sempre sui binari del topos comune, si è incoraggiata la pigrizia cognitivaed ha assunto proporzioni globali. Qualche anno fa, ad un convegno di cultura meridionalista, il magistrato Francesco Mario Agnoli parlò della mistificazione linguistica perpetuata dalla stampa piemontese chiamandola ‘La guerra delle parole’ e riferendosi al periodo post-unitario; a questo punto Agnoli dovrebbe fissare il presente e rendersi conto che oggi questa guerra continua e viene alimentata da meridionali sciacalli. Il primo libro di Aprile vendette 150.000 copie grazie al titolo accattivante, il suo successo è andato via via scemando, nemmeno i titoli al confine della decenza rimangono appetibili. La critica revisionista è un lavoro arduo che svilisce chi si dedica anima e corpo al meridione, il lavoro di Pino Aprile smantella continuamente quello fatto pazientemente dai veri meridionalisti ed è preoccupante la confusione che ne risulta, nonostante sia stata fatta bonariamente. Aprile inconsapevolmente è diventato lo strumento diretto degli strateghi unitaristi, uno strumento che ha valicato le catene dello spazio e del tempo. Gli scrittori che si incamminano per i sentieri intricati della storia devono prestare maggiore attenzione alla terminologia utilizzata, afferrare il concetto secondo cui: una parola non vale necessariamente un’altra


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