Io esodata per i prossimi 12 anni senza pensione, nè reddito, nè lavoro. E voi non ne parlate

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Io esodata per i prossimi 12 anni senza pensione, nè reddito, nè lavoro. E voi non ne parlate

Gentili signori, mi presento: Patrizia Falcone, esodata. Sono matematicamente certa che nessuno di voi mi rispondera’, comunque illudendomi di ricevere un vostro contatto, vorrei che mi poteste spiegare qualcosa che davvero non capisco. Nella mia attivita’ lavorativa ho diretto un ufficio postale ed i miei superiori volevano da me la massima produzione, ed io mi sono sempre attivata per cercare di capire le esigenze delle persone per poi poter vendere con la massima facilita’ quanto la mia azienda mi chiedeva di collocare. Ora io, appunto, non sono una giornalista, ma col senso delle persone comuni vorrei cercare di capire com’e’ che tutte le testate nazionali ed i piu’ importanti programmi televisivi ci hanno dedicato e continuano a dedicarci spazio ed invece alcuni di voi, a cui mi sono rivolta, non hanno ritenuto opportuno prendere in considerazione e portare all’attenzione dell’opinione pubblica (campana, in questo caso) il fatto che, alla luce di quanto sta emergendo, la pubblica amministrazione ha dilapidato milioni di euro(nostri, di tuttti noi!) ma continua a negarci quei miserevoli importi delle nostre pensioni, congelate come nel mio caso, per ben 12, e dico 12, anni! Non so se vi rendete conto che siamo centinaia di migliaia, con le nostre famiglie siamo piu’ di un milione di persone, leggeremo i giornali, guarderemo la tv, ascoletremo la radio, navigheremo in internet noi e i nostri parenti, amici e conoscenti, o no? Alcuni di noi saranno salvati dal ministro Fornero, ma altri, decine e decine di migliaia, resteremo fuori. E, perdonatemi, non sono una giornalista, ma sempre col senso comune, forse non vi rendete conto che siamo anche un problema politico perche’ il nostro milione di voti pesera’ moltissimo sul panorama politico italiano prossimo venturo. Non so, io, forse perche’ interessata in prima persona, e con me tutta la cerchia delle mie conoscenze, ci chiediamo come mai un argomento di questo genere voglia essere volutamente ignorato dai giornalisti campani. Ricevero’ mai una risposta? Ricevero’ mai la proposta di parlarne per poi veder pubblicato qualcosa in merito? Beh, vediamo un po’ chi di voi e’ lungimirante….Cordiali saluti.

        Patrizia Falcone Comitato Esodati.

Il direttore risponde:

Gentile Patrizia Falcone, le rispondo con piacere a questa lettera, pur nella convinzione che l’attenzione di un giornalista non lenirà la sua ansia di giustizia e la sua preoccupazione per il futuro. Consiglio a chiunque di desistere dal leggere se non si ha la pazienza, l’energia o la voglia di dare attenzione ad una insignificante e troppo lunga opinione. Due righe di premessa anche per risponderle sulla denuncia che lei rivolge alla stampa campana, che una piccola testata come questa non ha l’autorevolezza di rappresentare in pieno, però ha l’onestà di prendersi la propria quota parte di responsabilità e quindi sente il dovere di risponderle. Il fatto che sia domenica e si abbia una mezza giornata di riposo aiuta. Chi scrive considera il problema degli esodati (cioè quelli che hanno lasciato il lavoro con la promessa di andare in pensione, per poi vedersi traditi da una legge che rinvia l’appuntamento, scivolando in un limbo di incertezza insopportabile, per meglio fare comprendere la cifra del problema) come una delle distrazioni colpevoli di una classe dirigente, quella italiana, che privilegia il gioco di forza di lobby, ovvero di potentati contrapposti, tra cui anche i sindacati, piuttosto che la responsabilità di migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Vede è arrivato il tempo nel quale la politica ha dovuto cedere ai tecnici la responsabilità di guidare il paese per il semplice fatto che i politici (tutti quelli che hanno governato dagli anni ottanta in poi, comprese le opposizioni)  hanno speso fino all’inveosimile, facendo credere, a generazioni intere, che si potesse vivere al di sopra delle proprie possibilità, indebitando il paese del 124% rispetto al pil  (è come una famiglia che in un anno guadagna 100 euro, ma ha 124 euro di debito da pagare, quindi non gli basta il guadagno di un anno per uscirsene, anche se rinunciasse persino a mangiare e bere, ma chiede ancora soldi in prestito) e caricando il debito sulle future generazioni. Ora i tecnici dovrebbero mettere mano al disastro e cominciare a pagare i debiti. Magari almeno gli interessi. Perchè a differenza di prima, lo chiede l’Europa. In questo quadro ognuno tira dalla propria parte: chi giustamente pretende la pensione meritata, chi più scuole e migliori scuole, chi meno precari, chi più strade, chi più lavoro, chi ospedali migliori, chi più ferrovie e a più alta velocità, chi più tutela del paesaggio, più internet, chi più difesa dell’ambiente e protezione da erosione, chi più lavori per le frane, chi più ricerca, chi più possibilità di accedere al credito, chi più servizi pubblici, chi più assistenza sociale agli anziani, più asili nido, più trasporti pubblici, stipendi pubblici più dignitosi, più depuratori, più restauri di centri storici, più investimenti per il turismo, più decoro urbano, e potremmo continuare all’infinito nell’elenco delle legittime rivendicazioni che un cittadino onesto, che ha sempre pagato le tasse, come lei, non fosse per il semplice fatto che gliele hanno detratte dalla busta paga, pretende dallo stato. Tutto questo si chiama diritti. Ma anche spesa. Anzi spesa insostenibile in questo periodo, nel quale, dopo una grande abbuffata, è arrivato il conto da pagare ed è talmente caro che non ci sono i denari neppure per chi chiede semplicemente un pezzo di pane, ovvero che gli vengano restituiti i soldi che ha prestato allo stato, come salario differito, ovvero la propria pensione. Dico questo perchè viviamo in un paese nel quale il pubblico impiego è di gran lunga superiore agli altri paesi europei, sia in termini di persone assunte, che di costi. Ma cosa più grave è inferiore in termini di efficacia. Particolarmente al sud. Risolvere tutte queste spese, garantire tutti questi diritti, è ragionevolmente impensabile. Fare invece una scala di priorità forse è possibile. Quale emergenza quindi mettiamo in cima all’agenda? I giovani e la loro mancanza di lavoro nonostante l’alta specializzazione? Il fatto che non avranno nè un sindacato che li aiuti perchè senza lavoro, nè appunto un lavoro, nè una tredicesima o le ferie, nè una pensione?  Oppure i cassintegrati? Gli esodati? I precari delle scuole? Gli inoccupati o i licenziati? I malati? Gli anziani? Le piccole imprese? L’industria? Gli aiuti allo sviluppo per favorire occupazione, salario e consumi e quindi virtuosismo economico? L’export? La liquidità delle banche da prestare alle imprese? I problemi di genere, come quello dello sbilanciamento delle donne nell’ingresso al lavoro? L’abbatimento delle barriere architettoniche? Il salvataggio dell’Ilva e degli altri statidi crisi? L’impossibilità di fare un figlio per l’assenza di aiuti sociali? La garanzia della sanità pubblica? Ecco tra queste e le altre che le verranno in mente quale metterebbe in cima alle problematiche da risolvere? Stiamo assistendo agli sprechi della politica e poi ascoltiamo economisti e politologi che ci spiegano che pur azzerando i costi della politica sia a livello locale che nazionale, pur mettendo la patrimoniale ai pochi ricchi ufficiali (il 10 % della popolazione che proprio perchè ufficiali, quindi noti al fisco, già pagano le tasse, si tratterebbe solo di aumentargliele ulteriormente) ecco pur immaginando un paese fantastico come questo, non risolveremmo neppure il 10% del debito, tenendo conto che su questo debito si pagano anche gli interessi, che noi ogni anno non riusciamo ad onorare. Certo resta l’evasione fiscale e la lotta da 40 anni promessa. La guardia di finanza ogni giorno dimostra l’abnegazione a questo, ma chi ne sa più di noi ci spiega che è solo un sogno la lotta all’evasione fiscale e che fatta la legge trovato l’inganno. E più se ne fanno più i commercialisti hanno possibilità di trovare metodi per eluderle o addirittura indicare come evaderle. Insomma siamo in un vicolo cieco a causa di uno stato pesante che abbiamo creato, che non ha premiato il merito, ma ha favorito voto di scambio, clientela, assunzioni forsennate, ospedali e scuole in ogni condominio, spesa pubblica indiscriminata per accontentare tutti. Come fare? Purtroppo non saprei. Ma io partirei dal mettere in discussione quelle ideologie e quegli istituti o organizzazioni che le hanno rappresentate e che oggi vogliono farci credere di continuare a rappresentarle, che invece rappresentano, ad avviso di chi scrive, uno dei principali limiti alla liberazione di energie nuove, che sono le rendite di posizioni politiche, quindi anche sindacali, una classe dirigente  vecchia e incapace di intendere cosa occorre al paese (un esempio? Piuttosto che il tunnel del Tav, una classe dirigente sveglia e giovane avrebbe progettato un grande tubo di fibra ottica per portare internet ovunque e in maniera significativa quanto a potenza), incapace in gran parte anche di aprire una mail. Liberarci dalle bandiere, dalle tifoserie che avvantaggiano solo il potente di turno e dall’idea che lo stato deve provvedere ad adottare tutti perchè è un salvadanaio senza fondo, e puntare a sostenere regole semplici e banali, come quella di intendere la politica come un servizio a breve termine, pagata con un salario normale, dove il politico risponde in prima persona dei debiti e dei danni che  che produce e che lascia al successore e dopo il suo breve mandato torni a fare il proprio mestiere. Sostenere l’idea di chi dice che si deve innanzitutto indicare dove prendere i soldi e impegnarsi a trovarli, prima di rivendicare quale spesa aggiungere allo stato, quella di non avere più persone del pubblico impiego che pur non meritando il proprio posto non possono essere mandate a casa, quella di uno stato efficiente che paga in base al lavoro compiuto e ai traguardi raggiunti e che scelga per merito e non per altre logiche. Forse iniziando da lì ci sarebbe la possibilità anche per gli esodati di avere una opzione occupazionale, attraverso una elaborazione creativa e senza pozioni rigide del problema, in attesa della meritata pensione. Insomma a considerare queste emergenze da sole, chi scrive, crede che un quotidiano avrebbe il dovere di dedicare tutte le proprie pagine, ogni giorno alla singola emergenza. Ma nel flusso in piena della loro riproposizione quotidiana, non più singolarmente, ma tutte insieme, è forse possibile condividere l’impossibilità o incapacita di rappresentarle tutte nella loro effettiva dimensione. Che non valga come giustificazione.

Maurizio Troccoli

Dopo la risposta del direttore arriva in redazione una mail:

Ho letto il suo articolo, Io esodata per i prossimi mesi senza pensione né reddito né lavoro e voi non ne parlate, mi dispiace ma devo correggere la sua affermazione e sono dispiacuto che voi giornalisti continuate a dire falsita
lei scrive………..quelli che hanno lasciato il lavoro con la promessa di andare in pensione.
è completamente falso, non non abbiamo lasciato il lavoro,
volenti o dolenti ci hanno costretti a lasciare il lavoro.
si ricordi che chi semina vento raccoglie tempesta.
Un governo che fa di accordi carta straccia dallla mattina alla sera sulle spalle di 500mila famiglie lasciandole sul lastrico è dittatoriale.
e speri che non che vengano con i manganelli come e gia successo anche in casa sua
cordiali saluti

Guido
(cioè quelli che hanno lasciato il lavoro con la promessa di andare in pensione, per poi vedersi traditi da una legge che rinvia l’appuntamento, scivolando in un limbo di incertezza insopportabile, per meglio fare comprendere la cifra del problema)
 
 
Rispondo a chi si qualifica come Guido e riserva cordiali saluti che ricambio. Pur comprendendo la profonda sofferenza di chi vive una condizione da ‘esodato’ ritengo che nell’esprimere una legittima opinione chi scrive non abbia né offeso alcuno né «seminato vento per poi raccogliere tempesta». Sono convinto che in diversi casi la condizione di esodato possa essere stata determinata da un atteggiamento che lei definisce «costrizione» e che io mi limito a giudicarla come una non piena libertà nella sostanza. Resta il fatto che esodato è un lavoratore senza lavoro e senza pensione con età compresa tra 50 e 65 anni che si trova nella condizione di aver lasciato il posto di lavoro per ristrutturazione aziendale, per accordo sindacale o per dimissioni volontarie incentivate dal datore di lavoro e che, per una legge sopraggiunta, resta privo del salario e della pensione, che stava invece per percepire. Il termine “esodato” viene coniato nel 2012 dai mass media e dalla classe politica per indicare quei lavoratori che hanno perduto il posto di lavoro a seguito di una ristrutturazione aziendale, di un accordo sindacale o di un accordo economico con il datore di lavoro, contando di poter accedere in breve tempo al trattamento pensionistico e che hanno visto allungarsi il periodo di tempo di attesa con la riforma del sistema pensionistico. Ecco perchè quanto scritto nell’articolo è corretto. Quanto alle interpretazioni sia sul fenomeno degli esodati che sul governo da lei definito «dittatoriale», non posso che ribadire e sostenere la libertà del giudizio di ognuno. Quanto al passaggio sui «manganelli», preferisco sperare che sia un rimando storico a periodi del passato di questo paese che lei mi invita ad auspicare che non ritornino (auspicio condiviso da chi scrive) e che il termine in «casa sua» sia collegato appunto al Paese, Italia, e non ad altro, poiché sarebbe un falso. Quanto alle falsità scritte dai giornalisti chi scrive non si sottrae alle critiche mosse verso la categoria, in questo caso comunque, prive di fondamento. Con l’auspicio sincero che lei e le altre numerose famiglie in queste condizioni possiate vedere presto la fine di questa drammatica condizione, la saluto cordialmente.
 
Maurizio Troccoli

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