Anche gli uccelli hanno dei dialetti? Nel Cilento il caso studio del gracchio corallino

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Anche gli uccelli hanno dei dialetti? Nel Cilento il caso studio del gracchio corallino

Inauguriamo – con Rosario Balestrieri, naturalista e ornitologo, oltre che giornalista e presidente dell’associazione Ardea – una rubrica mensile in collaborazione con Ardea, che da anni porta avanti numerosi progetti, molto diversi per tipologia, ma tutti orientati alla conoscenza e alla salvaguardia dell’ambiente. Sarà una rubrica dedicata agli studi e alle curiosità del mondo animale, alle loro scoperte e ricerche, e a quanto c’è in natura da raccontare e far conoscere nel territorio cilentano e campano. (Marianna Vallone)

Oggi intervistiamo Emanuela Granata – Biologa dell’Associazione ARDEA che si sta occupando dell’elaborazione dei dati bioacustici raccolti sul monte cervati nell’ambito del progetto di monitoraggio ornitologico MigrAndata Cervati. Appassionata di conservazione della natura fin dalla tenera età, Emanuela ha poi diretto più nello specifico la sua passione nel campo dell’ornitologia e dell’ecologia, alla quale ha dedicato la sua formazione universitaria e il suo percorso lavorativo. 

Il progetto che hanno sviluppato ha diversi primati, infatti oltre ad essere l’unica stazione d’inanellamento in alta quota per monitoraggio dell’avifauna dell’intera Italia meridionale è anche l’unico progetto che prova a colmare la falla conoscitiva in merito alle vocalizzazioni del gracchio corallino, specie protetta caratterizzata da un linguaggio complesso ed eterogeneo, studiato in passato in buona parte del suo territorio distributivo, fuorché in Italia meridionale.    

Andando per gradi chiediamo ad Emanuela, che sta approfondendo questo tema, se esistono i dialetti negli uccelli?    

“Ebbene sì. Così come per l’uomo, anche gli uccelli possono sviluppare dei dialetti locali che, all’interno della stessa specie, segnano l’appartenenza della popolazione ad una determinata area geografica offrendogli dei vantaggi sia in termini di accoppiamento – le femmine possono infatti preferire dei partner che conoscono bene l’area – che per la difesa del territorio”.  

Come nasce il diletto negli uccelli? 

“È stato proprio William Homan Thorpe che, con i suoi esperimenti condotti negli anni ’60 su diverse specie di passeriformi, è riuscito a dividere l’espressione canora in una componente genetica (sotto-canto) dovuta all’esperienza della specie, e una componente appresa dovuta, invece, all’esperienza dell’individuo. Ed è proprio su quest’ultima componente che agisce l’evoluzione culturale. I dialetti, infatti, sono dei tratti culturali che vengono condivisi e appresi tra i membri di una stessa popolazione e, così come l’evoluzione genetica, possono essere soggetti a mutazioni culturali che vengono trasmesse alle generazioni future. Quando i pulcini imitano gli adulti, questi possono commettere degli errori e generare delle copie imperfette di quella vocalizzazione, la quale verrà tramandata culturalmente nella popolazione. I dialetti, però, possono generarsi anche per una risposta adattativa all’ambiente. Ad esempio, nel corso degli anni, gli uccelli hanno iniziato ed emettere suoni sempre più acuti e forti per far arrivare il loro messaggio “scavalcando” un importante ostacolo quale il rumore urbano. A tal proposito, uno studio pubblicato recentemente sul passero della corona bianca in San Francisco, ha mostrato come il canto di questa specie si sia modificato durante la pandemia da COVID-19, diventando più articolato e più performante ad ampiezze più basse grazie all’assenza del rumore cittadino”.

Tutti gli uccelli possono sviluppare i diletti? 

“I dialetti vocali non sono presenti in tutte le specie, ma bensì sono nei cladi, cioè i gruppi di uccelli che hanno un apprendimento canoro quali passeriformi, colibrì e pappagalli.  Da un punto di vista conservazionistico, quando si parla di specie canore, è necessario tenere in conto questo aspetto, poiché offre un quadro generale più ampio sullo status della popolazione e sulla corretta pianificazione degli interventi di conservazione”.

 Parlaci del progetto che si svolge proprio qui in Cilento? 

“Proprio in questo filone di ricerca, noi di ARDEA in collaborazione con eConscience, stiamo conducendo uno studio sul sistema di comunicazione del gracchio corallino, un corvide appartenente all’ordine dei passeriformi che forma gruppi sociali e gregari anche molto ampi. Fino ad oggi, si riconoscono fino a 70 tipi di richiami differenti in questa specie e altri studi, pubblicati a cavallo fra la fine degli anni ’90 e inizio degli anni 2000, hanno già trovato una differenza significativa nel repertorio canoro di diverse popolazioni europee, suggerendo già la presenza di molteplici dialetti.  Inserita nell’Allegato I della Direttiva Uccelli (79/409/CEE) e oggetto di tutela secondo l’Articolo 2 della Legge 157/92, il gracchio corallino resta ancora poco studiato, soprattutto nell’appennino meridionale dove studi di bioacustica sulla specie non erano mai stati condotti. Il nostro progetto, partito nel 2021 sul Monte Cervati (1899 m s.l.m) ed allargatosi in altri territori dell’appennino meridionale dove la presenza di questa specie è ben documentata, vuole fare luce sull’ipotesi che le popolazioni dell’Italia meridionale siano sufficientemente isolate geograficamente tali da aver evoluto un dialetto diverso rispetto alle altre popolazioni europee. I risultati ottenuti da questo lavoro, non solo ci permetteranno di scoprire aspetti molto interessanti dell’etologia e della biologia del gracchio corallino, ma forniranno informazioni utili per la sua conservazione”. 

Quanti Gracchi avete registrato sul Cervati e “cosa si dicono”? 

“Il gruppo di Gracchi corallini studiato sul Cervati era composto da 34 individui nel 2021, di cui 4 giovani, in questo secondo anno di monitoraggio (2022) purtroppo però il numero d’individui è calato a 26 di cui 1 solo giovane e l’area in cui erano presenti con costanza l’anno scorso è stata quasi del tutto abbandonata, riducendo significativamente le registrazioni di questa seconda sessione.  Questo potrebbe essere dovuto a difficoltà crescenti che incontra questa specie nel territorio, nel territorio cilentano a anche in altre regioni del suo areale distributivo. 

Non è semplice interpretare cosa si dicono, ma fra i circa 30 differenti tipi di richiami che fin ora abbiamo registrato ed analizzato, si possono potenzialmente distinguere i vocalizzi dei giovani da quelli degli adulti (poichè emettono richiami a frequenza diverse), si possono nettamente distinguere i richiami di allarme, usati per avvertire il gruppo della vicinanza di un predatore e quelli più strettamente legati ad altri tipi di comunicazione intraspecifica. Proprio da questo dicembre, assieme ad altri membri dell’associazione ARDEA, andremo sul campo per fare delle osservazioni sul comportamento di questa specie presente nell’area cilentana, così da collegare il tipo di richiamo registrato ad un aspetto etologico ben chiaro e preciso. I risultati che otterremo faranno maggiore luce sul sistema di comunicazione adottato da questa specie e tutte le implicazioni eco-etologiche. 

Foto © Giuseppe Passacantando e Riccardo Mattea

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