Si avvicina la sentenza. Nell’arringa difensiva critiche alla fase delle indagini

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Si avvicina la sentenza. Nell’arringa difensiva critiche alla fase delle indagini

Si avvicina l’epilogo del processo di primo grado che vede imputato Giuseppe Russo, accusato di violenza sessuale nei confronti di una donna del saprese. Nella mattinata di giovedì si è svolta al Tribunale di Sala Consilina la penultima udienza e il primo aprile verrà pronunciata la sentenza.

Nell’ultimo atto del procedimento, celebratosi come gli altri a porte chiuse, è arrivata la risposta dell’avvocato difensore del trentenne di Camerota alla requisitoria del pm che si era conclusa con la richiesta di 6 anni e 8 mesi di reclusione; il legale Angelo Paladino ha formulato in un paio d’ore un’articolata arringa difensiva nella quale ha esposto le tesi della difesa facendo riferimento in particolar modo alla fase istruttoria – ritenuta deficitaria e non idonea – e alla personalità e al vissuto della donna, considerata "non attendibile".

Secondo quanto affermato da Paladino il protocollo che riguarda gli adempimenti da compiere nella fase delle indagini riguardanti casi di presunta violenza sessuale "non è stato assolutamente seguito". Il legale ha contestato a lungo il riscontro medico della violenza, a cui fa riferimento l’accusa. "Si doveva procedere a nominare immediatamente un consulente medico-legale, come vuole la prassi. E non è stato fatto", riferisce al Giornaledelcilento.it .

Il riferimento medico su cui si basano le accuse è il certificato stilato la notte della presunta violenza all’ospedale di Sapri, dal medico di turno. Paladino, che lo considera comunque "inutilizzabile", proprio perchè non si tratta di una perizia di un medico legale, dice a riguardo: "Nel referto si parla solo di due lievi ecchimosi ai lati esterni delle cosce e si dice che "potrebbero" essere segni di una violenza subita. Ma non c’è nessun riscontro. Il protocollo dice che devono essere effettuati alcuni esami specifici, che vengano analizzate le unghie della vittima, che i segni della violenza devono essere fotografati, che vengano riscontrati segni nella parte interna delle cosce. Nulla di tutto ciò è stato fatto". Il perito della difesa, in relazione alle "lievi ecchimosi di colore bluastro", avrebbe attestato che si tratterebbe di segni provocati in un momento nettamente precedente alla presunta violenza avvenuta la sera del 27 luglio scorso (i lividi sarebbero stati provocati dalle 6 alle 8 ore prima del riscontro, secondo il medico-legale della difesa, mentre la visita all’ospedale di Sapri sarebbe stata effettuata appena un’ora dopo l’accaduto, all’incirca).

Per quanto concerne le critiche alle modalità con cui è stata effettuata la prima fase delle indagini, la difesa ha fatto riferimento pure ad un altro punto: "La presunta vittima di violenza dovrebbe essere affidata subito ad una struttura pubblica per le necessarie operazioni di valutazione dello stato psichico e per l’eventuale sostegno. Anche questo non è stato fatto". Inoltre Paladino si è riferito alla questione del legame tra la donna e uno dei carabinieri coinvolto nella fase delle indagini, un rapporto "confermato in dibattimento da varie testimonianze, oltre che dai tabulati".
In precedenza, il legale di Russo aveva criticato pure l’acquisizione tardiva da parte degli inquirenti di alcuni dati dei tabulati telefonici che sarebbero risultati inizialmente incompleti e che sarebbero stati poi integrati su richiesta della difesa.

Nell’arringa di giovedì, Paladino ha esposto ai giudici i diversi elementi riguardanti la personalità e il vissuto della donna, emersi nel dibattimento, che rafforzerebbero – secondo l’impianto difensivo della difesa – la tesi della sua inattendibilità. A riguardo l’avvocato ha fatto riferimento, tra l’altro, ad alcuni "certificati episodi di disagio psichico" e alle "contraddizioni nelle quali è caduta in alcuni passaggi delle sue testimonianze".

Le versioni relative a ciò che è accaduto la sera del 27 luglio poco dopo le 23, in una casa sulle colline del Golfo di Policastro, lontana dal centro abitato, sono diametralmente opposte. I due si erano già conosciuti in precedenza e questo sarebbe confermato pure dai contatti telefonici acquisiti nel processo.

La donna – e il pubblico ministero, che ha praticamente sostenuto la sua versione – afferma che la sera del 27 luglio l’uomo sarebbe giunto a casa sua e che avrebbe immediatamente fatto violenza su di lei. Poi, dopo aver fumato una sigaretta, sarebbe andato via minacciandola di ritorsioni nel caso avesse raccontato a qualcuno l’accaduto.

Giuseppe Russo, durante il suo interrogatorio in aula, ha riferito che quella sera, un paio di ore prima, sarebbe stato contattato e invitato a casa dalla donna, con la quale aveva già avuto dei rapporti l’8 e il 9 luglio. Avrebbero poi avuto un rapporto sessuale "assolutamente consenziente". Dopodichè la donna, mentre fumavano sul balcone della sua abitazione, "pretendeva di stabilizzare il rapporto" – come ha riferito Paladino al Giornaledelcilento.it – e avrebbe chiesto a Russo degli aiuti per la ristrutturazione della casa. Allora l’uomo avrebbe fatto cadere la discussione e sarebbe andato via.

Il prossimo primo aprile il processo si concluderà con l’arringa dell’altro avvocato difensore, l’eventuale replica del pm e, infine, con la sentenza riguardante Giuseppe Russo, accusato di violenza carnale nell’ambito di una vicenda dai tanti e complessi risvolti. L’imputato si trova in carcere da circa sette mesi. E’ detenuto nella casa circondariale di Vallo della Lucania.

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