Serata di musica e parole. Si chiede giustizia per il maestro più alto del mondo

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Serata di musica e parole. Si chiede giustizia per il maestro più alto del mondo

Un anno è trascorso da quando Franco Mastrogiovanni ha perso la vita in un ospedale pubblico per mezzo di una paradossale e agghiacciante "operazione sanitaria". E’ successo nelle prime ore di un afoso e disgraziato 4 agosto del 2009 a Vallo della Lucania. Nel reparto di psichiatria, in regime di Tso, legato ad un letto mani e piedi per oltre 82 ore senza soluzione di continuità. Dopo i primi 365 giorni di lotta per ottenere il riconoscimento formale di quella verità, oramai conosciuta e indiscutibile, talmente vera da essere stata raccontata con cruda e incorruttibile esattezza dal video delle telecamere di sorveglianza presenti nel reparto, e per raggiungere la conferma processuale che la giustizia non sia solo un concetto bello e stimolante ma pure un pilastro tangibile di una società che voglia continuare a definirsi civile e democratica, il comitato "verità e giustizia per Franco Mastrogiovanni" ha riunito mercoledì sera nella piazza di Vallo della Lucania le forze e le volontà civili locali per una serata di ricordo. "Affinché mai più", sono soliti affermare con chiarezza d’intenti quelli del comitato, insieme a tutti coloro che in questi mesi si sono schierati dalla parte della famiglia, al fianco di chi indignato e scandalizzato continua a pretendere giustizia come si pretenderebbe l’aria necessaria a sopravvivere. Perché in gioco, oltre al riconoscimento delle specifiche colpe penali dei sanitari del San Luca e le eventuali responsabilità relative alla disposizione di un "singolare Tso" che pare prima disposto da un sindaco e solo dopo avallato da un medico, c’è la vera e propria sopravvivenza generale delle garanzie istituzionali di difesa dei diritti umani fondamentali. Allo stato attuale, l’evidenza empirica del caso scandaloso di ciò che pare proprio accadesse nella prassi operativa del reparto di psichiatria vallese è un campanello d’allarme riferibile al ripetuto sgretolarsi di queste garanzie istituzionali nell’ambito dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura presenti in Italia.

"Quello che è successo a Mastrogiovanni è di una gravità inaudita. E non è certamente l’unico caso di uomo che muore legato ad un letto di contenzione nei reparti di psichiatria" ha affermato con potenza civile Gisella Trincas, presidente dell’Unasam ( Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale ), in apertura di serata, dopo l’accorata introduzione di Grazia Serra. "Mentre noi siamo qui, ci sono tante persone legate nei Servizi di Diagnosi e Cura di tutta Italia. Questa storia atroce richiama a delle responsabilità pure politiche e amministrative. E’ intollerabile che in una struttura pubblica di cura ci siano degli operatori che possano solo pensare che quelle pratiche siano possibili, che possano essere spacciate per atto medico. Non basta il processo penale, qui bisogna mettere sotto processo una cultura operativa assurda. Qui ci vuole la ribellione della gente. Un Paese che ha una legge di un’importanza enorme quale la legge 180, non può permettere ancora pratiche di questo tipo, che portano le persone a morire. Di dolore. E’ intollerabile." Gisella Trincas colpisce nel segno, con la fulminea precisione di parole capaci di raggiungere il nocciolo della questione, di indicare lo scandalo. "La nostra associazione sostiene con forza che non si devono legare gli esseri umani, che le porte dei reparti psichiatrici devono rimanere aperte, che il malato psichico è una persona che va compresa, aiutata ad uscire dalla situazione di disagio, e non schiacciata da farmaci e contenzione. Dobbiamo fare in modo che i familiari di Franco siano forti nella rivendicazione del diritto alla cura, che non può trasformarsi in tortura. Perché questa è tortura."

La partecipazione della comunità locale all’iniziativa non si può definire di certo massiccia, si sono contate poche decine di persone in piazza Vittorio Emanuele. Ma i presenti sono riusciti con una partecipazione composta ma sentita a dare una risposta calda all’appello di giustizia ancora una volta lanciato dai familiari del maestro di Castelnuovo. Gli interventi dal palco di giornalisti e attivisti si sono alternati alle esibizioni musicali di Angel Galzerano Trio, Santino Scarpa, Lex 0_Crime, Martino Adriani , Antonio De Leonardis ed alle poesie di Sabatino Catapano, un uomo segnato da diverse esperienze di contenzione.

C’è stato chi, come Agnesina Pozzi, la dottoressa che ha relazionato con dovizia di particolari in relazione alle gravi mancanze mediche di quei terribili giorni, ha sottolineato la debole risposta numerica della gente di Vallo della Lucania ed ha riproposto con forza la necessità di una risposta deontologicamente appropriata dei medici a quanto di sbagliato e inadeguato accade sovente negli ospedali; chi, come Angelo Pagliaro, giornalista e membro del comitato "giustizia per Franco", richiama alcune fasi della raccapricciante permanenza di Mastrogiovanni al San Luca e delle mancate azioni basilari di alimentazione, osservazione, diagnosi e cura da parte dei sanitari. "Per certi versi nei campi di concentramento c’è stata più umanità, perché se non altro ti rivolgevano la parola. Mastrogiovanni è stato abbandonato. "

Il senso della battaglia portata avanti dal comitato è stato ribadito da Giuseppe Galzerano e Giuseppe Tarallo, sempre in prima linea nella rivendicazione civile del gruppo. E, come già in altre occasioni, Antonio Manzo, uno dei primi giornalisti a seguire la vicenda di Mastrogiovanni, ha sapientemente inserito l’inaccettabile morte del maestro cilentano nel quadro di un’Italia senz’anima e senza pietà. Un paese corrotto, irriconoscibile a sé stesso, incapace di indignarsi. " Un paese in cui spesso va in galera chi non ha il permesso di soggiorno, la patente o la pelle come la nostra, e invece chi ha delle responsabilità dirigenziali nell’ospedale di Vallo non si è fatto ancora un giorno di carcere per la morte di Franco Mastrogiovanni. Non mi portate a Vallo che non ne esco vivo, aveva detto prima di essere trasportato con l’ambulanza dal luogo della cattura al reparto. E così è andata"

Altri contributi sono stati forniti da Marilù De Luca, attraverso la lettura di quanto aveva elaborato a caldo dopo aver visto il montaggio video della permanenza di Mastrogiovanni nel reparto di psichiatria; da Tullia Conte e Gerardo Russo, cronisti delle emittenti televisive locali, rispettivamente attraverso la appassionata lettura della celebre lettera inviata da Antonine Artaud ai direttori dei manicomi ("Gli ospedali, lungi dall’essere degli ospedali, sono delle spaventevoli prigioni, nelle quali i detenuti forniscono la loro mano d’opera gratuita e utile, nelle quali le sevizie sono la regola […]. L’istituto per alienati, sotto la copertura della scienza e della giustizia, è paragonabile alla caserma, alla prigione, al bagno penale. […] I pazzi sono le vittime individuali per eccellenza della dittatura sociale; in nome di questa individualità, che è
propria dell’uomo, noi reclamiamo la liberazione di questi prigionieri forzati della sensibilità, perché è pur vero che non è nel potere delle leggi di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono" scriveva Artaud nel 1925, come se fosse ieri) e l’esposizione di alcuni stralci di quanto riferito in commissione di inchiesta parlamentare da Luigi Pizza, attuale dirigente dell’Asl salernitana.

Il resoconto stenografico della seduta della commissione parlamentare di inchiesta sullo stato del servizio sanitario nazionale, che ha affrontato il caso Mastrogiovanni è riportato sul sito www.giustiziaperfranco.it , così come il commento di Agnesina Pozzi alle incredibili parole di diniego dell’evidenza pronunciate in Senato da Pizza, di fronte alla commissione presieduta da Marino.

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