“Prevenzione sanitaria in aree inquinate da rifiuti tossici”: un allarmante bilancio

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“Prevenzione sanitaria in aree inquinate da rifiuti tossici”: un allarmante bilancio

Sabato 31 ottobre presso l’aula consiliare del Comune di Bellizzi si è svolto un interessante convegno sul tema dell prevenzione sanitaria in aree inquinate da rifiuti tossici. Il convegno fa parte di una serie di incontri che periodicamente si ripete in molti comuni dei Picentini, del salernitano e della intera regione, grazie alla collaborazione e all’interessamento delle amministrazioni locali sensibili alla questione ambientale, ma anche per merito di associazioni o di semplici cittadini motivati che cercano di attivarsi per risolvere – o quanto meno creare un circolo di virtuosa informazione – sul problema dei rifiuti.

Autorevoli i relatori presenti, tra cui il prof. Giuseppe Comella, Direttore del Dipartimento di Terapia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli, e il prof. Antonio Marfella, Tossicologo e Oncologo della Fondazione "Senatore Giovanni  Pascale", che amano autodefinirsi "guerrieri" per l’impegno e lo straordinario spirito di sacrificio con cui da anni analizzano il problema dei rifiuti e le tragiche conseguenze che ne derivano.

L’intervento del prof. Comella ha affrontato il delicato tema dell’incremento delle malattie oncologiche nella aree inquinate da rifiuti tossici. Stando ai dati Arpac del 2008 è allarmante il numero di discariche, abusive e non, sul territorio regionale campano. A Napoli sono presenti 1186 discariche, segue Caserta con 815, Salerno con 320 e Avellino con 125. Nella maggior parte dei casi, si tratta di sversatoi dove sono finiti rifiuti tossici altamente pericolosi come fanghi tossici, rifiuti ospedalieri, vernici, rifiuti industriali.

Comella, illustrando i dati che riguardano la salute dei cittadini della regione Campania, ha chiarito che per le malattie oncologiche non si può parlare di una relazione diretta causa-effetto e quindi scientificamente non possiamo affermare l’esistenza di una relazione certa tra inquinamento da rifiuti e maggiore incidenza di malattie tumorali in aree inquinate (l’unico tumore ad essere dichiarato effetto di una causa ben determinata è il tumore da amianto come decretato dall’Ispesl).

Nonostante ciò, confrontando i dati italiani con quelli della sola regione Campania i risultati sono critici. Il numero di neoplasie polmonari, al fegato e alle vie biliari sono in numero spaventosamente più alto rispetto ai dati nazionali; inoltre, nelle statistiche di tipo sanitario che vengono fatte ogni anno, i risultati attesi, cioè le previsioni, sono di numero sempre inferiore al numero effettivo di casi osservati. E questo accade nella misura del 20% ma in alcuni casi e per alcuni Comuni del napoletano e del casertano risulta del 50% o anche del 100%. Cosa vuol dire? Significa che se ci aspettiamo per un anno ad esempio 20 persone che si ammalano di una certa neoplasia, se ne arrivano ad ammalare anche 120. Tutto ciò è davvero allarmante.

Il prof. Marfella, partendo dai dati Arpac 2009 si è soffermato su un dato fondamentale, ossia la necessaria differenza che va fatta tra due grosse tipologie di rifiuti: quelli solidi urbani e quelli speciali. E’ chiaro che ogni tipologia di rifiuto necessiterebbe di una particolare e autonoma forma di smaltimento e/o recupero.

In Campania non c’è separazione alcuna tra le due tipologie perché le stesse discariche vengono utilizzate indistintamente sia per il rifiuto urbano sia per quello speciale. I rifiuti speciali in Campania ammontano a oltre a 4 milioni di tonnellate; mentre quelli solidi urbani sono 2,8milioni di tonnellate. E solo 20 mila tonnellate sono di rifiuti ospedalieri.

È chiaro che questi numeri sono parziali se consideriamo tutto ciò che dalle altre regioni entra illecitamente in Campania. Il problema a questo punto è cercare di capire dove e in che modo vengono sversati i rifiuti. L’intervento ha cercato di inquadrare e capire che ruolo gioca il sistema dei trasporti nella gestione dei  rifiuti. Le discariche del salernitano come Parapoti e Colle Barone di Montecorvino Pugliano, Castelluccia di Battipaglia, Macchia Soprana di Serre sono state infatti sede non solo di grandi sversamenti di rifiuti solidi urbani ma anche di migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti tossici a causa della loro strategica posizione: estrema vicinanza alle uscite autostradali che ha consentito ai tir di raggiungere "comodamente" i siti e grazie alla morfologia del territorio che ha consentito di sfruttare al massimo intere colline, vallate e cave. Questo territorio oggi è profondamente e visibilmente segnato da questi grandi discariche.  Per altre zone del salernitano, come le zone montuose al confine con l’avellinese e il Cilento il problema è differente. Questi territori sono stati risparmiati dalle grandi cave e discariche ma sono comunque toccate dal problema rifiuti in modo diverso.

Il Prof. Marfella dichiara al Giornaledelcilento.it: "Le aree del Cilento sono state sì risparmiate dalla presenza di grandi immondezzai, ma non di certo dalla presenza di piccole discariche abusive di rifiuti tossici. Quattro ‘barili blu’, contenenti sostanze altamente pericolose, valgono in termini di danno ambientale più di migliaia di tonnellate di rifiuti solidi urbani. Il dato preoccupante è proprio questo – continua Marfella – le zone del Vallo di Diano e del Cilento con la loro morfologia, le vaste aree brulle e le aree a bassa densità di popolazione si prestano a questo tipo di sversamento. Piccoli quantitativi, ma tutti di rifiuti altamente pericolosi che vengono così tranquillamente abbandonati in fiumi, mare, aree collinari, tra macchie di vegetazione. Fare una mappatura di queste aree è impossibile."

Il prof. Marfella, da anni studia da vicino il territorio e dice: "In un  piccolo centro del Cilento sono stati offerti dei soldi ad agricoltori del luogo per affittare dei terreni come deposito di fanghi dichiarati biodegradabili che sono risultati essere poi altamente tossici. Nel fiume Tanagro che attraversa il Vallo di Diano sono stati rinvenuti alcuni ‘barili blu’ contenenti rifiuti tossici e si ipotizza che altri punti del Parco Nazionale siano stati utilizzati per piccoli (in termini di numero) ma grandi (in termine di potenziale inquinante) depositi di rifiuti tossici."

Due inoltre sono le inchieste tutt’ora aperte. La prima riguarda il Comune di Sassano, dove è stata individuata un’area di oltre 1000 mq, adiacente a terreni coltivati e a falde acquifere, ove erano stati stoccati intenzionalmente, per oltre un quarto dell’intera area, materiale di risulta, residui di lavori edili e di altro genere, dannosi sia alla salute che all’ambiente, classificati quali rifiuti speciali dalla vigente normativa. La seconda, risalente al novembre 2007, riguarda un più grande traffico di rifiuti speciali dalla Calabria alla Campania. Venticinquemila tonnellate è il volume di rifiuti speciali che l’organizzazione avrebbe trasferito dalla Calabria alla Campania dal 2001 al 2007. I rifiuti venivano portati in Campania a bordo di tir, con un sistema di staffette assicurato da altri componenti dell’organizzazione che segnalavano la presenza di forze dell’ordine in modo da eluderne i controlli.

La situazione è preoccupante perché non è quantificabile il reale numero di discariche e non è possibile conoscere esattamente la tipologia di rifiuti presenti nel sottosuolo. Sappiamo che nel salernitano il 30% dei rifiuti è tossico. E questa percentuale incide sulla salute del territorio e dei cittadini.

Il Prof. Marfella ha concluso il suo intervento ricordando che è paradossale parlare di bonifica del territorio adesso: "La bonifica ha senso quando si conosce esattamente dove e come intervenire per sanare un territorio. La Campania è ancora in guerra, purtroppo".

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