Franco Arminio: «I borghi non moriranno, ma scontano decenni di disattenzione»

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Franco Arminio: «I borghi non moriranno, ma scontano decenni di disattenzione»

di Marianna Vallone

E’ passato da poco mezzogiorno quando telefonicamente raggiungiamo il poeta, la voce che ha ridato una speranza ai piccoli borghi. In sottofondo, a Bisaccia, nel suo fedele angolo di Irpinia, si sentono gli uccellini. Risponde camminando. E’ tra i poeti contemporanei italiani più amati, Franco Arminio. Riempie le sue poesie di scorci e paesaggi dimenticati. Lo spopolamento dei paesi è diventato l’oggetto privilegiato della sua attenzione e del suo lavoro. Autore di una ventina di libri, le sue raccolte di poesie hanno raggiunto un pubblico di lettori molto ampio, i suoi versi hanno avuto un’accoglienza importante, come Cedi la strada agli alberi e L’infinito senza farci caso. Anima e ideatore del festival La Luna e i Calanchi, la festa della paesologia che si svolge ogni anno in estate ad Aliano, nella montagna materana, il paese dei Calanchi e del confino di Carlo Levi. Con Franco Arminio scopriamo cos’è la paesologia e perché i borghi vanno salvaguardati.

Come immagina il nostro domani, dopo la ferita della pandemia?
Intanto non è finita, siamo in una fase di transizione. Sicuramente difficile da un punto di vista economico, ma immagino anche che possano esserci delle opportunità per alcuni territori, per esempio come il Cilento, un territorio che non è stato colpito in modo particolare da questa situazione. Non tutti i territori sono stati colpiti allo stesso modo, è bene settolinearlo.

Il Coronavirus non ama l’aria pulita, dice nella sua intervista impossibile. Significa che nei piccoli borghi si vive bene?
Si potrebbe vivere anche meglio. Rispetto al Coronavirus siamo più tranquilli, qui c’è un distanziamento naturale, non devi scansare le persone come avviene in città. Non è un aspetto di poco tempo, da questo punto di vista si vive bene.

Hanno un futuro i borghi? Cosa manca?
Scontano decenni di disattenzione. Abbiamo pensato di spostare lavoro e servizi in pianura e città e la montagna ha perso quei servizi fondamentali, trasporti, scuole, prima emergenza sanitaria ed anche il lavoro. Credo però che sia una fase già alle spalle, in futuro sarà difficile che muoiano. Ci sarà, anche se non facciamo nulla, una parte della popolazione urbana che penserà ai paesi, almeno come residenza provvisoria.

Qual è appunto il loro valore aggiunto?
Il silenzio, il buon cibo, l’aria buona. Non sono cose da poco conto. Già la sola aria che respiriamo ogni giorno è un elemento enorme. E poi c’è un sentimento comunitario ancora vivo, anche se un po’ in crisi. C’è quella gentilezza verso i forestieri, una umanità si potrebbe dire banalmente. Un paese non è un aggregato di case, è un corpo che ti accoglie, è fatto di braccia e di occhi. Deve essere gentile, non ti deve scalciare, respingere. Dobbiamo far sì che questo corpo sia sempre più accogliente. Ogni paese ha il suo carattere, il suo umore, la sua bellezza, sono cose prezioso.

Si definisce un “paesologo”. Cosa significa?
Dare attenzione al paese, è l’idea che i paesi possano avere un futuro. E’ un po’ il contrario del paesanologo che dà attenzione al passato dei paesi. E’ un modo per richiamare l’attenzione di chi ci abita. Dico spesso sono andati via tutti, specialmente chi ci abita. La paesologia è una forma d’attenzione per i paesi.

In un momento così difficile e in generale nei momenti difficili, crede che la poesia possa essere d’aiuto?
La lingua può essere un farmaco. Quante volte ascoltiamo una parola buona e ci fa bene. Non è plastica, è un prodotto umano che può far bene, entra nell’organismo. E la parola poetica è una parola buona, costruita con attenzione, come un lavoro artigianale. E’ come una panella di pane. Ti puoi alimentare di poesia. Potrebbe completare la Dieta Mediterranea, la metterei accanto all’olio e agli ortaggi.

Lei è a Bisaccia, com’è cambiato il suo paese durante questa emergenza?
Il silenzio si è fatto ancora più forte, già non usciva nessuno e non c’è ancora nessuno. La gente del paese è stata molto rispettosa e sorprendente. Rispetto alle città non è cambiato molto, eravamo già ad un passo dalla quarantena.

Chiudiamo l’intervista con la poesia di Franco Arminio che amiamo di più e che riproponiamo ai nostri lettori, tratta da “Cedi la strada agli alberi”.

“Abbiamo bisogno di contadini, di poeti,
di gente che sa fare il pane,
di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.


Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.


Attenzione a chi cade,
attenzione al sole che nasce e che muore,
attenzione ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.

Oggi essere rivoluzionari
significa togliere più che aggiungere,
significa rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio,
al buio, alla luce, alla fragilità,
alla dolcezza.


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