Scario modello, e ora crescita edilizia zero in tutto il Cilento. Soprintendente: «Rivoluzione culturale»

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Scario modello, e ora crescita edilizia zero in tutto il Cilento. Soprintendente: «Rivoluzione culturale»

E’ notizia da copertina quella che vuole Scario a crescita edilizia zero. E ci vuole coraggio ad imporlo contro l’aggressione selvaggia del cemento e contro una certa opinione pubblica resistente a concepire una attività edilizia differente. Che sappia puntare sul recupero piuttosto che sulle cubature. Che sappia guardare a modelli di bellezza dei territori diversi da quelli che sembrano suggestionare i nostri costruttori, ispirati dalle periferie delle grandi città o dalle bidonville dell’America Latina. Modelli di costruzione edilizia lieve, di buonsenso, rispettosa e plasmata dal gusto, in grado di prendere i nostri magnifici borghi cilentani e consegnarli, intatti, alla storia. Con vicoli pavimentati, privi di catrame e facciate adornate di fiori e complementi d’arredo che valorizzino le nostre abitazioni, piuttosto che colori improvvisati e accozzaglie di intonaco e mattoni. Un modello edilizio che faccia lavorare le imprese artigiane, sulle coibentazioni, sulle messe in sicurezza, sui piani di restauro e di recupero. Ci prova Scario e, questo giornale desidererebbe che dopo il meraviglioso angolo cilentano del golfo di Policastro, anche tutti gli altri sindaci sposino l’iniziativa, con coraggio e convinzione. Anche a rischio dell’impopolarità. 

«Ha fatto benissimo l’amministrazione di San Giovanni a Piro a optare per la crescita edilizia zero. Era ora perché di consumo di suolo se n’è fatto tantissimo, addirittura compromettendo quelle risorse e bellezze che dovrebbero essere l’elemento trainante del turismo anche nel Cilento». Così Fausto Martino (nella foto), uno dei più attivi funzionari della Soprintendenza di Salerno, da pochi mesi Soprintendente ai Beni Ambientali e Culturali di Cagliari, commenta la «rivoluzione culturale» dell’amministrazione di San Giovanni a Piro, appunto di dare la priorità alle operazioni di recupero e manutenzione delle strutture esistenti, riqualificando e risanando. 

«Se andiamo a depauperare le bellezze del territorio perdiamo completamente l’appeal che abbiamo avuto in questi anni, non per merito nostro ma perché Madre Natura ci ha dato un territorio straordinario», prosegue l’architetto, sottolineando il caso particolare di «San Giovanni a Piro, che non ha mai avuto un piano regolatore, per cui tutto quello che è accaduto è accaduto senza pianificazione. Mi pare giusto fermarsi un attimo e migliorare quello che c’è, – ha detto, augurandosi che a questo segua «una prova dei fatti, e cioè una politica seria di gestione del territorio».

Molto rara­mente com­pren­diamo la gran­dezza di alcune scelte men­tre vengono prese. Suc­cede più di fre­quente che solo dopo qual­che anno guar­diamo indie­tro e pen­siamo che quello è stato il momento deci­sivo che ha cam­biato il corso della storia. La prospettiva offerta dalla decisione dell’amministrazione cilentana è quella di una rivoluzione culturale. «Lo è – sottolinea il soprintendente – è una rivoluzione che trae origine dalla circostanza che si prende finalmente atto che il territorio non è una risorsa riproducibile, e che una volta che si è consumato, una volta che è compromesso con l’edilizia non è più ripristinabile».  «Ogni anno perdiamo migliaia di euro in edificazioni sulle coste, mi pare sia il caso di fermarsi e riflettere. – aggiunge Martino – Anche perché non c’è più una crescita demografica o bisogno di case, piuttosto una necessità di riconversione di quello che c’è per renderlo più compatibile con il paesaggio e ambiente. La scelta di San Giovanni a Piro è culturalmente avanzata». 

Se i piani di gestione urbanistica rimangono immutati, alcuni territori saranno irrimediabilmente snaturati per fare posto all’ennesima anonima villettopoli, di puro stampo speculativo. « Uno dei problemi più grandi di tutto il territorio, è stato nella circostanza che si sono invase, con edilizie improprie, le zone rurali. I vari paesi sono collegati tra loro, con più o meno densa concentrazione di fabbricati. Non c’è più quella distinzione che c’era una volta tra campagna e abitato. – sottolinea l’architetto – Non ci sono centri urbani che abbiamo una loro forma fisica definita ma si diluiscono in una specie di periferie squallidissima in un territorio che non si può più organizzare e gestire». In sintesi: «Siamo in presenza di una gestione urbanistica andata avanti malissimo negli ultimi anni, soprattutto da Salerno a Napoli. Si è costruito ovunque, – spiega – un continuum edificato ma di una edilizia terribile, senza servizi, senza infrastrutture, senza trasporti. Si è costruito utilizzando in maniera improprio di zone rurali». «Anche in Cilento c’è stato un utilizzo improprio di aree destinate all’agricoltura, – conclude – le cosiddette villettopoli, quelle aree che accolgono villette, che si riempiono d’estate e poi si svuotano, tornando nella solitudine per 8-9 mesi all’anno». 

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