Si raccolgano ora quei quattro stracci di anima. Addio poeta Pantaleo Cella

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Si raccolgano ora quei quattro stracci di anima. Addio poeta Pantaleo Cella

E’ morto mercoledì mattina il poeta Pantaleo Cella, originario di Vallo della Lucania, che aveva eletto Marina di Camerota come luogo della sua vita. E’ stato scrittore, compositore di memorabili versi, studioso di storia, letteratura, filosofia, Latino, Greco e diverse altre discipline per le quali ha realizzato numerose tesi di laurea e opere letterarie di diverso genere. Ha scritto libri ed è stato consulente per la realizzazione di progetti che riguardavano la cultura del territorio. Ha vissuto incarnando il cliché del poeta, in una condizione esistenziale al limite. La sua produzione di opere non ha mai conosciuto occasione per essere recuperata, catalogata e divulgata. Nell’ultimo periodo ha combattuto con una condizione di salute precaria, subendo diversi ricoveri. E’ venuto a mancare, a causa di un malore, la notte tra martedì e mercoledì durante il trasporto dalla sua abitazione all’ospedale.

Il ricordo

Un giorno mi hai detto: essere poeta ti toglie molto, anche tutto, ma a differenza degli altri, non senti il vento… sei vento, non senti la pioggia…sei pioggia, non senti il freddo o il caldo… sei il freddo e sei il calore. 

Mi raccontavi di una perfetta simbiosi raggiunta con certe condizioni di questo esistere. Io, senza riconoscertelo, sapevo che le tue erano frequentazioni insolite, che appartengono a profondità e altezze, se preferisci: a orbite o vibrazioni molto vicine al luogo che abiti ora. E questo mi consola. 
Hai strappato da te tutto quello che poteva essere utile a guadagnarti quel luogo, per la tua ossessione di frequentare l’anima, prima ancora di diventarlo. Molto tempo prima di essere anima e basta.

Questa terracotta che maneggiavi meglio di tanti. Potrei dire oggi, che molti conoscevano la tua stranezza e ti riconoscevano cultura, conoscenza, memoria fuori dal comune. Non erano altrettanti quelli che conoscevano la competenza che avevi sull’anima, sulle anime. Quella parte che volentieri respingiamo, per quanto ci interroga e tormenta, che preferiamo affidare a psicologi o a distrazioni. E che tu, invece, scandagliavi con fisico da atleta, tempra da campione. 

Sei stato monaco senza monastero, maestro senza scuola, familiare senza famiglia, amico senza amicizia, riparo senza dimora, potrei continuare perché si percepisca la conflittualità nella quale hai deciso di infilare ogni piccolo nervo della tua incredibile esistenza: ma eri unico anche nel risolverla quella conflittualità, lasciando ad ognuno il rassicurante pregiudizio della follia, la confortevole conclusione di saperti ultimo. So, quanto, di ognuno di noi, avessi comprensione. Compassione. Non me l’hai mai detto, ma lo so. In qualunque posto di questa vita materiale saresti stato l’ultimo: per scelta tua e degli altri. Ma nei luoghi dell’anima, dove la verità fa i conti con la verità, potremmo avere bisogno di te. Sarai generoso con noi, per me è una certezza. Perché avaro, hai saputo essere solo di quello che ti serviva per le tue ossa, riservando a questo una busta di plastica, tua compagna fedele.

Si raccolgano ora i quattro stracci di anima che hai disperso tra foglietti, quaderni e libri, affinché qualcuno possa assaggiare i luoghi dell’armonia che silenziosamente abitavi.

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