Angelo Vassallo, quanto sono distanti gli amministratori del Cilento da quel pescatore sindaco

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Angelo Vassallo, quanto sono distanti gli amministratori del Cilento da quel pescatore sindaco

Non conoscevo Angelo Vassallo se non attraverso la cronaca di questo quotidiano e di altri giornali che, forse poco, continuano a parlare del «pescatore-sindaco». Ma le cronache non hanno il calore di un cortometraggio e forse non hanno l’onestà della voce flebile di un amico. Non hanno la capacità narrativa di uno sguardo negato, coperto, di una figlia sofferente. Le cronache non sono in grado di trasmettere i grandi vuoti di una casa, di una piazza, di un tavolino del bar. Non riescono a trasmettere l’angoscia dell’assenza, la sfuggevolezza di un timone che gira a vuoto e, sul quale, non si poggia più la mano del suo timoniere.

Così ci si è ritrovati a raccontare Angelo Vassallo, senza percepire il nervo teso di una comunità. Senza avere ascoltato il fragore dello spaesamento, continuando ad osservare dal clima rigido, o forse tiepido, delle cronache. Il docufilm ‘Al di la del mare’, realizzato da Luca Pagliari, è invece il coraggio di una sosta. Quel coraggio a cui le cronache spesso si sottraggono ma che, se espresso, è in grado di restituire il volto umano di una realtà che rischia di evaporare dietro la retorica di un titolo. O di una narrazione tanto distinta, quanto distante, dalla capacità di penetrazione di alcune vedute.

Attraverso questo docufilm ho conosciuto un Angelo Vassallo che vorrei far conoscere a tutti i giornalisti che hanno scritto di questo «pescatore-sindaco». E a tutti i lettori che, in qualche modo, sono stati raggiunti dall’eco di un sud lontano e opaco, spesso confuso dal nomignolo, che prende il nome di Cilento e che, dopo l’accensione dei riflettori sul ‘caso Vassallo’, viene più facilmente localizzato. E poi… e poi mi piacerebbe che anche i cilentani guardassero questo docufilm. Capirebbero in maniera diretta, quanto distante sia, purtroppo, la nostra dilagante ristrettezza di sguardo, con la lungimiranza di un amministratore «fuori dagli schemi». «Un pescatore – sindaco», appunto, come in questo spaccato lo definisce un suo amico. Non un «sindaco – pescatore».

Questo video che, per colonna sonora riproduce, come un mantra, il suono dello stridere delle cime delle barche, ha la capacità di farci conoscere Angelo Vassallo, senza mai ritrarlo nella sua quotidianità. Lo vediamo in una bouganville, in un geranio sporgente da una finestra. In un vicoletto pulito dove è vietato buttare la cicca di sigaretta. Lo vediamo tra le sagome degli scogli, sotto il velo dell’acqua chiara di mare, nel lancio di una cipolla a una nave arrogante. Quella sagoma si disegna attorno ai comportamenti domestici di un pescatore sindaco. Non dietro ai brogliacci di una scrivania, ai fascicoli di un archivio. Non seduto nell’aula fredda di un consiglio comunale o dietro la bandiera di un partito. Non, nell’immagine in bianco e nero di un comizio e, neppure, dietro il profilo, un po’ ridicolo, del doppiopetto d’occasione, dell’ingiacchettarsi per fare passerella, che tanti continuano a sopportare e, altrettanti ad ambire, nei protocolli grotteschi di questo nostro, lento, sud.

Abbiamo conosciuto un Angelo Vassallo senza appellativi. Senza il dott. davanti al nome, senza l’ing., il prof. l’avv. senza neppure il sign. ma semplicemente con il «pescatore» davanti al sindaco. Un Angelo Vassallo che non indossa  cravatte, non crea distanze di linguaggio, di forma o di comportamento tra lui e gli altri. Nè in larghezza, nè in altezza. Ma è lì seduto al tavolino di un bar e offre il caffè all’amico anziano del borgo di pescatori. Ho conosciuto, grazie a questo ritratto sospeso, un Vassallo che mi piacerebbe fosse preso a modello di modestia, di operosità, di sobrietà, da parte di tanti, troppi sindaci, amministratori, giovani arrivisti e vecchi burocrati ammuffiti di questo Cilento che l’urgente necessità di questa modestia non la percepiscono. Ma guardano all’occasione di essere primi servitori del bene pubblico, puntando al primo termine e sorvolando sul secondo.

Ognuno di loro è invitato a guardare questo docufilm. A interrogarsi su quanto somiglino a questo modello di servitore dello stato o quanto, piuttosto, si avvicinino al modello di chi si serve dello stato per la propria ambizione o avidità. E alla fine, magari, mi piacerebbe immaginare che strappino un impegno a se stessi.

Quello, ad esempio, di mettere un posacenere di terracotta lungo le vie del paese per ogni cravatta che hanno nell’armadio. Quello di chiedere ai cittadini un vaso di gerani alle finestre delle nostre piazze, per ogni giacca custodita. Una sentinella contro l’abuso, per ogni comizio propagandistico. Un muro all’arroganza per ogni orologio in mostra. Un’aiuola di fiori per ogni occasione di visibilità, di retorica e propaganda. Un metro di tubo per il depuratore per ogni incontro autorevole e referente con l’autorità. Una passata di intonaco pastello, non fluorescente, sopra i mattoni rossi forati, per ogni dispetto da riservare all’avversario politico. Un atto di trasparenza per ogni desiderio di velleità. Uno sforzo di impegno civico per ogni tentativo di scorciatoia risolutiva. E un’ora in più tra la gente che ha bisogno, e che molto può fare, a partire dalla cura del metro quadro antistante la propria casa, per ogni ora trascorsa in ufficio, a cincischiare con l’accondiscendente di turno.

Qualche promessa a se stessi che valga a colmare un solo centimetro di quella voragine lasciata dalla verità sulla morte di Angelo Vassallo. Ancora da trovare.  

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