Fiction ‘Il sindaco pescatore’, Vassallo e Pollica non sono il Cilento

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Fiction ‘Il sindaco pescatore’, Vassallo e Pollica non sono il Cilento

Sono sempre più rare le occasioni nelle quali si riseveglia un moto di orgoglio collettivo in questo Cilento. Sono, invece, molto più frequenti le occasioni nelle quali a risvegliarsi non è proprio nulla, se non la lagna, la penuria, il degrado di questo pezzo di sud. 

Ai tanti che hanno visto la fiction ‘Il sindaco pescatore’, in tutta Italia, lunedì sera, non sembrerà vero che in quell’ombellico del Cilento, a Pollica, ad Acciaroli, c’è chi Vassallo gli pare ancora di vederlo passare tra i vicoli. Chi di Maria, la segretaria, conosce ogni gesto, chi di Gerardo Spira, il braccio e la mente al fianco del sindaco, il segretario, non ne avrebbe apprezzato la straordinarietà umana e professionale, tanto è normale vederlo come una persona comune. Insomma chi guarda da fuori, chi guarda una fiction, rimane, giocoforza, dentro la campana di un equivoco, come a porsi insistentemente la domanda su cosa sia e cosa no, reale.

Chi invece ha vissuto, vive, a Pollica, ad Acciaroli, in questo Cilento, a questa domanda sa dare una risposta. E, la risposta, appunto, è molto prossima alla narrazione di ‘Il sindaco pescatore’, grazie alla quale emergono tutte le contraddizioni di questa terra cilentana. Una terra che sembra darti tanto, per poi chiederti tanto. Con gente che ti da tanto per poi chiederti indietro tanto. Come qualcuno sintetizza nella parodia della trappola del caffè sempre offerto al bar o dell’accoglienza sempre generosa in casa. 

Si diceva un moto di orgoglio, neppure così largamente condiviso, come invece sembrerebbe, tenuto conto di un altra endemica epidemia cilentana, l’arrivismo politico, a causa della quale i sindaci del Cilento, lunedì sera, come quando Vassallo era in vita, sono stati un corpo estraneo dentro un organismo vivente. Al pari di un sindaco di una comunità delle Dolomiti friulane o delle brulle terre salentine. Non si è bene capito, insomma, chi fosse realmente vivo e chi morto. 

Il Cilento, per chi è tentato di conoscerlo, è una contraddizione, tra bellezza e trasandatezza, tra sensibilità e volgarità, sufficienza, quella che i personaggi esprimevano quando Vassallo chiedeva un centro pedonale. Che, da queste parti assomiglia più a una riserva per pedoni. 

Si dirà, come è stato detto anche da autorevoli personaggi locali, che Vassallo aveva i suoi difetti e non soltanto caratteriali. Osservazione legittima e che fa riflettere vista la fonte, ma la domanda che sorgerebbe naturale è: quale altro paese del Cilento ha questa storia di rinascita e sensibilità? Si tiri fuori il nome di un sindaco che abbia trasformato così il suo paese e abbia dimostrato tanta passione per il bello. 

Se le libere opinioni lasciassero spazio, solo per un attimo, ai fatti, sarebbe presto scattata una fotografia dal cielo del Cilento che vede un degrado insopportabile tuttintorno, uno scivolamento verso la politica del malcostume in maniera progressiva all’avanzare delle nuove generazioni, che ripetono ritualità antiche di cattiva amministrazione e malagestione clientelare, mentre al centro, Pollica, non è che una fiammella a rischio di spegnimento. 

Quelle pietre agli angoli delle strade, le rampicanti, le aiuole, la pavimentazione per l’area pedonale, le ceneriere pubbliche, i gerani alle finestre, urlano un modello arrogantemente preteso da Vassallo (sarà pur vero), come uno sceriffo (sarà pur vero), come chi – interpretando il linguaggio locale – consapevolmente, sceglie l’arma del linguaggio muscolare, ma resta, tuttoggi, inascoltato dalle altre amministrazioni cilentane. 

In un giro di interviste presentate ai sindaci cilentani sui temi cari a Vassallo, questo giornale ha avuto occasione di misurare la temperatura della passione civile di questi primi cittadini, trovando conferma al fatto che la colonnina di mercurio non ha provato neppure a sollevarsi. In tanti, troppi, borghi cilentani, regna il degrado, gli angoli di spazzatura che Vassallo ha sgomberato come primo gesto del suo mandato. In troppi posti del Cilento manca la cultura delle aree pedonali, dei giardini pubblici, delle aiuole e dell’erba tagliata. Persino del passeggiare. Qui pochi metri di lungomare o di belvedere si percorono in auto. Ma quel che manca di più è lo sguardo lungo, un senso del gusto, il profilo di amministratori navigati che abbiano visto e apprezzato come gira il mondo, la passione civile che alza un muro contro il compromesso. 

Qualche politico ha denunciato di respingere l’immagine degradata del Cilento. Ma umilmente viene da ribadire che la bandiera del Cilento non va difesa con uno spirito da tifoseria. Verrebbe da chiedersi allora contro chi ha lottato Vassallo. 

La bandiera del Cilento la si difende, con uno spirito di verità, che significa anche lotta contro una cilentanità dell’apatia e dell’abbandono, del servilismo al piccolo potente di zona, del ‘lascia andare come si è sempre andati’, del ‘tanto si è fatto sempre così’. Il Cilento ha bisogno di amministratori che sappiano ribaltare le logiche locali con politiche impopolari, come Vassallo ha fatto, pagando, ancora da morto, l’impopolarità. Intanto il Cilento continua a non ascoltare. Perchè il Cilento non è Pollica, non è Vassallo.

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