Camerota, Coppola presenta ‘Qualcosa di bianco’: «E’ molto più di un libro»

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Camerota, Coppola presenta ‘Qualcosa di bianco’: «E’ molto più di un libro»

Cosa ci fanno insieme un gigolò, una vecchia arpia malata di cancro, un attore fallito, una cocainomane, un epilettico, una sensuale professionista col D.O.C., una narcolettica e un paraplegico nella stessa stanza? Certo, è scontato: fanno terapia di gruppo. Hanno in comune la malattia più terrificante di tutte: la depressione. Atroce e invincibile mostro che gli altri credono di curare a suon di “non abbatterti” e “non ci stai mettendo abbastanza impegno”. Il Dr. G., giovane e aitante analista, sprona i pazienti alla condivisione attraverso un metodo che prevede ventuno sedute collettive, durante le quali ognuno sorteg- gerà una lettera dell’alfabeto e racconterà le proprie emozioni partendo da una parola che avrà per iniziale la lettera estratta. Questo esperimento tragicomico è raccontato dalla penna dissacrante di una com- ponente del club dei depressi. Le vicende sono sospese tra sogno e realtà, proprio come la gabbia in cui la narratrice vive a causa della sua condizione fisica. Cosa succede realmente e cosa è solo il frutto della sua fantasia?

Che cos’è potenzialmente “interessante”? Provate a pensarci: niente di ciò che è troppo facile o già noto o già visto è “interessante”. L’interesse, ricorda Murphy Paul, nasce da una sfida possibile: quanto viene proposto dev’essere nuovo, complesso e comprensibile. Le persone devono sentirsi in grado di venirne a capo se ci si mettono, e ci si metteranno a patto di sentirsi in grado. Questo vuol dire che complessità e comprensibilità di un argomento o di un compito vanno, ogni volta, calibrate sulle conoscenze di base e sulle risorse delle persone da interessare. Ma, in primo luogo, le persone devono sentirsi incuriosite. E la sinossi di ‘Qualcosa di bianco’ è interessante quanto basta per stuzzicare la curiosità e consegnare ai lettori la chiave per accedere ad un gate nuovo. Se siete pronti a partire per un viaggio fatto di valigie pesanti e pillole di ilarità, allora eccovi di fronte alla copertina pallida e stila ‘macchina da scrivere’ del primo romanzo di Francesca Coppola.

Lei, 28 anni, si definisce «una divoratrice seriale di libri e film sin dall’infanzia». Queste passioni l’hanno traghettata verso il mondo del copywriting e della produzione audiovisiva, dove lavora da anni. Il suo stile narrativo si ispira liberamente alla vita quotidiana mixata agli “effetti speciali” della realtà cinematografica. E davanti alla gente sua, quella di Marina di Camerota, dopo la presentazione del libro a Roma, ha promesso che questa storia non si ferma alla carta stampata, potrebbe presto tramutarsi in una sceneggiatura avvincente che vede protagonista Libera e tutte le lettere dell’alfabeto, nessuna esclusa.

Giovedì sera la scrittrice si è raccontata al Negroni Therapy, per l’occasione pieno zeppo di sorrisi e mazzi di fiori. Ecco la nostra chiacchierata d’autore.

Cos’è “Qualcosa di bianco” ?

Io e il mio editor lo abbiamo definito “romanzo-serie”, perché è stato elaborato come un copione cinematografico e i capitoli sono riconducibili a delle “puntate”. L’ho scritto pensando a un progetto multimediale e sono già in moto per realizzare un lungometraggio. Ci tengo a precisare che la mia è una produzione totalmente indipendente e che Mondadori è il mio distributore ufficiale. Ho desiderato fare tutto da sola proprio per essere libera di declinare questo elaborato in più forme, quando e come mi pare.

Di cosa parla?

In sintesi: del potere della condivisione e dell’ironia. Proprio per questo, un altro mio desiderio è quello di trasformare “Qualcosa di bianco” in una fondazione che possa aiutare le persone che si sentono sole ed emarginate a causa di disagi o problemi mentali. Il tema dell’isolamento mi è sempre stato molto a cuore e ho voluto in qualche modo rendere onore a chi lotta ogni giorno contro i pregiudizi di una società che ci vorrebbe tutti perfetti, ma soprattutto è dedicato a chi non ce l’ha fatta… Per me non sono loro i deboli ma le “colpe” di gesti estremi vanno cercate tra chi avrebbe potuto fare qualcosa per aiutare chi ne aveva davvero bisogno e invece si è girato dall’altra parte.

Quanto ci hai messo a scriverlo?

Un giorno una persona mi disse “Un libro non si scrive a pizzichi e bocconi. Richiede tempo, impegno ed energie, più di qualsiasi altro lavoro. Devi svegliarti la mattina, farti il caffè, metterti alla scrivania e realizzare il numero di pagine stabilito”. Nulla di più vero. “Qualcosa di bianco” è sempre stato dentro di me, come una malattia… Una malattia che oltre a togliermi le forze, paradossalmente mi dava adrenalina e voglia di vivere. L’incubazione di questa malattia è iniziata sei anni fa, sei anni durante i quali ho finto tante volte di non esserne affetta. Poi un giorno, a metà settembre di quest’anno, stavo per iniziare un nuovo lavoro e mi sono alzata con le lacrime gli occhi. Lì ho capito tutto: stavo respingendo per l’ennesima volta il mio unico, grande amore. Ho rinunciato a quel lavoro e mi sono detta: “Mi do un mese di tempo per rimettere tutto insieme e dare una forma alla mia opera”. L’ho fatto. 

Ho tagliato grossolanamente dei pezzi di realtà, ho aggiunto un po’ di immaginazione qui e là e ho lasciato macerare il tutto. Poi ho alzato la temperatura al massimo e aggiunto tanti ingredienti contrastanti tra loro e mi sono venute in mente tante ricette e tanti sapori che mi hanno consigliato le persone che fanno parte della mia vita. Già, perché qui c’è un po’ di ognuno di loro. “Qualcosa di bianco” è un elaborato spinto, decisamente difficile e controverso, ma sono sicura che gli animi sensibili comprenderanno che le metafore e gli espedienti narrativi di cui mi sono servita siano stati dei mezzi per far arrivare forte e chiaro il mio messaggio, che alla fine è senza dubbio positivo. Siamo tutti pazzi, in fondo. Siamo tutti prevedibili e scontati. Siamo tutti deboli di fronte a qualcosa per la quale ci faremmo uccidere. È questa la mia grande sfida: capire quanta gente possa effettivamente, come spero, riconoscersi in questo racconto.

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