Capitano Ultimo mostra il suo volto. Nel Cilento la testimonianza di vita e il Premio Nassirya per la Pace

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Capitano Ultimo mostra il suo volto. Nel Cilento la testimonianza di vita e il Premio Nassirya per la Pace

Dopo 31 anni ha mostrato il suo volto. Capitano Ultimo, Sergio De Caprio, dal 1993 non ha aveva mai tolto il passamontagna. Lo ha fatto ora al teatro Quirino di Roma. Generale italiano dell’Arma dei Carabinieri, noto per l’arresto di Totò Riina, è candidato alle Europee con la lista “Libertà” di Cateno De Luca.

L’ex ufficiale dei Ros ha compiuto il gesto a sorpresa: «Scopro il mio volto, la mia ultima difesa dalla mafia, perché a viso aperto voglio continuare a servire il popolo italiano. – ha detto – Lo faccio con la stessa umiltà, lo stesso coraggio, con la stessa umiltà, con lo stesso amore che ho avuto da carabiniere. Lo faccio e lo farò con De Luca nel fronte della Libertà”, per un’Europa “soprattutto dei cittadini” che si “autodeterminano liberamente”». (FOTO LAPRESSE)

Per decenni senza identità e senza volto, è uno degli uomini che nel 1993 ha arrestato Totò Riina ed è noto al grande pubblico anche per una fiction tv che gli è stata dedicata. Per le sue numerose e approfondite indagini è stato nel mirino di “Cosa Nostra”. Alcuni collaboratori di giustizia hanno raccontato di diversi progetti dei boss per uccidere Ultimo: il pentito Giuseppe Guglielmini il 9 maggio 1997 riferì di avere appreso dal killer Giovannello Greco, che Bernardo Provenzano aveva l’intenzione ossessiva, un chiodo fisso, di uccidere il capitano Ultimo, il nemico dei mafiosi.

Nel 2019 è stato nel Cilento per raccontare la sua testimonianza di vita e per ricevere il Premio internazionale Nassirya per la Pace, promosso dall’associazione Elaia. Un tour che lo ha portato in diversi comuni cilentani, tra cui Centola Palinuro, Celle di Bulgheria, Policastro Bussentino e Caselle in Pittari.

Riproponiamo l’articolo del suo incontro nel Cilento.

Perché Capitano Ultimo? «Sono nato in una caserma, mio padre comandava una stazione, quei vecchi carabinieri mi hanno insegnato a crescere, a scrivere, a parlare a mangiare, a difendermi, me l’hanno insegnato con l’esempio. Erano figli di gente povera, che stava ai margini ma era fiera di essere la cornice delle piccole comunità nelle quali vivevamo, senza mai interferire e rispettando quel principio grandioso che è alla base della nostra sopravvivenza e civiltà che si chiama autodeterminazione e va praticata. Loro proteggevano questo diritto e dovere all’autodeterminazione delle comunità, di crescere e prosperare al loro interno per poter far sopravvivere tutti non solo chi è più bravo. – ha detto il colonnello De Caprio – Capii che ero già un carabiniere, ero uno di loro, un loro fratello più piccolo, li ammiravo e volevo essere degno di fare per gli altri quello che avevano fatto loro davanti a me. Sono qui grazie a loro».

Costretto a vivere con il volto coperto e con la paura accanto. «Si pratica la clandestinità come tecnica principale per il contrasto alle organizzazioni eversive e mafiose. Noi seguiamo gli insegnamenti del nostro generale, Carlo Alberto Dalla Chiesa, che era è e rimane la nostra guida, che ci ha spiegato che dobbiamo combattere le cause e le associazioni e non i singoli reati. Ci ha insegnato che dobbiamo praticare per vincere la compartimentazione, parole pesanti ed amare da praticare. Praticare la clandestinità è continuare a vivere come ho sempre vissuto. Era una necessità rimanere sconosciuti, rimanere l’incubo dei mafiosi perché la loro forza non sono i soldi ma il fatto che siano organizzazioni segrete e sconosciute».

Nel 1993 Capitano Ultimo ha messo le manette a Totò Riina. «Avevamo avuto una grande esperienza a Milano dove avevamo praticato i pedinamenti per due anni e avevamo affinato tecniche seguendo un mafioso. Eravamo in grado di fare attività in maniera elevata. A Palermo abbiamo replicato queste tecniche e quindi catturarlo è stato normale. Noi pensavamo già al lavoro successivo».

Lo Stato gli ha tolto la scorta nel 2009, nel 2012 e anche oggi. «La scorta non è un diritto di nessuno e non è una battaglia personale. – dice – Certo è che quando togliere la scorta a Capitano Ultimo la motivazione è che è minore la pericolosità dei criminali coinvolti e non è più concreto il pericolo dell’associazione Cosa Nostra ho dovuto riflettere. Perché davanti a queste affermazioni dei massimi esperti della sicurezza nazionale, ci sono relazioni della Dia in cui si dice che Cosa Nostra rimane virulenta ed ha una elevata capacità offensiva. Ma c’è di più, perché nel 41bis dell’ordinamento penitenziario viene sancito che un parametro che non deve essere tenuto in considerazione nella proroga di questo duro regime carcerario è il decorrere del tempo, riferito alla pericolosità dei criminali detenuti per questa matrice criminale particolare e le associazioni di riferimento. Il problema non è più perché hanno tolto la scorta a Capitano Ultimo, ma perché dicono che Cosa Nostra non è più un pericolo concreto e attuale. Questo è rinnegare e ignorare tutto il percorso fatto in tanti anni di battaglia. E’ un problema di tutti».

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