“Cervati, il respiro di un monte”, il documentario di Mariano Peluso

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“Cervati, il respiro di un monte”, il documentario di Mariano Peluso

La montagna con gli occhi e lo spirito di chi la abita e la vive, animali e pastori. Il sanzese Mariano Peluso, 23 anni, studente di Ecobiologia, ha voluto raccontare il Monte Cervati, simbolo e cuore della Riserva di Biosfera dell’Unesco, nel Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Il risultato è il documentario “Cervati, il respiro di un monte”, che è stato presentato a Sanza, presso il Centro di Educazione Ambientale, lo scorso 28 dicembre in una sala gremita.

«Ho avuto la fortuna di crescere alle pendici del Monte Cervati, ho dei ricordi molto densi, fissi nella mente. – racconta Peluso – Ricordo che non ero ancora in grado di camminare bene e me ne stavo comodamente seduto sulle spalle di mio padre mentre mi portava a pesca sul Fiume Bussento, dall’alto avevo una buona visione su tutto ciò che accadeva in quell’acqua che veniva giù con forza e costanza dal Cervati, i miei occhi si illuminavano di continuo mentre papà mi suggeriva dove guardare. Ricordo di quando, con il secchio, scendevo al fiume a prendere l’acqua per inaffiare le piccole piantine di melo antico che mio nonno aveva appena innestato. Diceva che era una varietà che si stava perdendo e voleva lasciarla a chi sarebbe venuto dopo».

Inghiottitoi, sorgenti freschissime e corsi d’acqua, boschi, faggete e vegetazione rigogliosissima. Il Cervati è un paradiso per molte specie di volatili, uccelli migratori, lupi, gatti selvatici. Anche il cervo, da sempre il grande “Signore del Cervati”, è tornato a popolarlo.

Mariano, nel suo lavoro durato 4 anni, iniziato nel 2018, ha raccolto immagini inedite ma anche punti di vista, compreso quello dei pastori e allevatori, le loro difficoltà e paure, oltre ad uno studio, la “Migrandata”, sugli uccelli migratori che si incontrano sul monte Cervati, realizzato dall’associazione Ardea. «Questo documentario – ha spiegato – è un contributo a voler fare la stessa cosa che mi ha insegnato mio nonno, ma applicata al Cervati: far conoscere per preservare. Creare un innesto tra noi e il benessere della montagna da cui dipendiamo e dipenderemo sempre».

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