Il commento su Repubblica: «Il Cilento abbandonato dai giovani»

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Il commento su Repubblica: «Il Cilento abbandonato dai giovani»

Condividiamo e riportiamo integralmente sul GiornaledelCilento.it il commento di Mariella Marchetti sulle pagine del quotidiano La Repubblica il 26 agosto 2023.

La lunga estate calda cilentana si avvia all’epilogo.  L’ aria inebria, profuma di ginepri, mirti ed eucalipti che si mescolano al salmastro del mare. Qui quasi tutti hanno un orticello e degli ulivi. In questa stagione gli uliveti sono particolarmente belli, di un argento luccicante, già carichi di frutti intatti e verdi. Sarà una buona annata, dicono i pochi anziani rimasti in paese, così anche per quest’anno ogni famiglia avrà in casa abbondanza di ottimo olio. Qui tutti hanno una casa di proprietà, molti più di una. Ci sono le case vuote che un tempo sono appartenute ai nonni e quelle nate per essere vuote, eternamente incompiute, concepite con errato calcolo previsionale da padri fiduciosi che i figli sarebbero rimasti qui per sempre.

Non lontano c’è il mare. Si staglia alla vista con il suo azzurro netto, definitivo, perché più bello di così non è possibile immaginarlo. Qui lo si vede quasi sempre, è negli occhi, nella mente e nel cuore. Dalla montagna appare come una linea di blu evanescente che va a confondersi col cielo, dalla collina, invece, è più netto, quasi lo si può toccare con mano. Ogni paese in Cilento è una terrazza sull’infinito: Pisciotta, Ascea, Casal Velino, Castelnuovo, Pollica, Montecorice, Castellabate. Ogni paese ha almeno due chiese, di drammatica, struggente bellezza. Ogni vita qui è segnata dalla devozione per il proprio Santo, dalle feste patronali.

In ogni paese del Cilento ci sono cinque o sei palazzi nobiliari che hanno visto passare una microstoria mai marginale o insignificante, confluita poi nella fiumana della grande Storia. Questi palazzi oggi sono vuoti: vuote le stanze, i saloni e le corti, dove aleggia solo la presenza di qualche entità di cui è rimasta viva nella memoria collettiva la vicenda esistenziale. Sono questi ormai non luoghi.

Alcune di queste dimore, un tempo gloriose, sono in vendita, il prezzo è irrisorio, ma la domanda è nulla. Sono cifre che in città non consentirebbero di acquistare neanche un piccolo, ordinario appartamento di periferia.

Sono in vendita anche molte case nei vicoletti che si inerpicano nella parte più alta del paese, ma nessuno sembra farci caso. Solo sparuti viaggiatori passano di qui.

I giovani sono andati quasi tutti via, lavorano nelle città del Nord e nelle capitali d’Europa. Sono laureati, hanno conseguito master e specializzazioni, ma qui il merito non è riconosciuto e così l’emorragia di menti si fa di anno in anno più drammatica. Lo spopolamento ha eroso e snaturato al suo interno, come un vorace parassita, la struttura e la natura di questi luoghi, ne ha portato via l’anima, la storia, il sentimento di identità e l’orgoglio di appartenenza. Pezzo dopo pezzo sono stati smantellati tutti i servizi che rendono un paese reale, funzionale, non un’entità fittizia, un semplice agglomerato di case: chiusi gli uffici postali, le botteghe, le guardie mediche, le stazioni di forze dell’ordine, gli sportelli del bancomat, gli oratori, i centri sportivi, qualche ospedale e stazione ferroviaria. Si dice che con il nuovo tracciato dell’Alta Velocità, la rete ferroviaria tirrenica verrà declassata e molti treni non fermeranno più.

A settembre molte scuole non riapriranno a causa della norma prevista nella Legge di Bilancio 2023, un dramma, il colpo finale. La presenza dell’Istituzione scolastica sul territorio, soprattutto lì dove è venuto meno ogni servizio essenziale, è l’ultimo baluardo istituzionale. Qualche eroe solitario resiste: ogni paese può vantare eccellenze nella ristorazione, nella produzione e nella conservazione dei prodotti del territorio. Li chiamano produttori di nicchia, sono imprenditori ardimentosi, ma maledettamente soli.

Eppure questo territorio ha tutte le carte in regola, che però rimangono lì, sparigliate sul tavolo: nessuno le fa girare, nessuno sa fare gioco di squadra, nessuno le mescola o riesce a giocarsi il jolly vincente. Altrove saprebbero sfoderare la carta del Patrimonio Unesco, del Parco nazionale, del Parco Archeologico, quella della patria della Dieta mediterranea, quella di luogo di biodiversità, quella delle tante Bandiere Blu che acquisterebbero forza se solo si unissero in un’unica bandiera rappresentante l’intero Cilento. Un buon giocatore saprebbe fare squadra, ragionerebbe in termini di associazioni di comuni dove vengono meno i piccoli interessi personali e le consorterie. Un capitano però non c’è e non c’è neanche una squadra unita e motivata, non si programma, non si raccorda e armonizza, la costa con l’interno, l’Alto Cilento con il Basso Cilento, non si cerca di elevare l’offerta turistica, di destagionalizzare un turismo che qui è solo di prossimità, di bagnanti, mai di viaggiatori.

È colpa della viabilità disastrata, affermano con fatalismo proprio coloro che non si scoraggiano a raggiungere le tortuose strade del Trentino, delle Cinque Terre, della Maremma in tutte le stagioni dell’anno.

Intanto come ogni anno le polemiche continuano, gli ultimi panni ormai logori si stracciano di dosso e a nessuno sembra importare che è tempo di agire, che mentre si discute, il Cilento è ormai espugnato.

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