La crisi del calcio italiano dai professionisti ai dilettanti
| di Stefano Boffa
Il calcio italiano, negli ultimi anni, sta attraversando una crisi profonda che coinvolge ogni aspetto, sia tecnico che strutturale.
Dalla Nazionale italiana che rischia di non qualificarsi per il terzo Mondiale di fila, fino a passare per le difficoltà burocratiche per innovare e rinnovare le strutture, senza dimenticare la povertà dei vivai e le squadre professionistiche che investono su stranieri a basso costo. Un insieme di storture e di povertà di idee che stanno mettendo il prodotto e il movimento calcio in ginocchio dinanzi ad una realtà sempre più brutale.
L’incapacità, inoltre, dei vertici federali di svecchiarsi, di venire incontro alle esigenze del pubblico (l’ultima grande trovata della lotta a tappeto contro la pirateria non è stata esattamente geniale, considerando anche la moltitudine e i costi degli abbonamenti a cui gli appassionati sono sottoposti) sta iniziando a diventare preoccupante. Sicuramente è importante esportare il prodotto Serie A all’estero, ma di certo far giocare determinate partite e competizioni in Arabia Saudita, Qatar, Australia e Stati Uniti non lo rende di certo più appetibile.
La ricerca spasmodica di soldi e investimenti sta allontanando il calcio dal territorio e dai tifosi, sempre meno rappresentati per mere logiche di mercato e per strategie di marketing ad oggi poco funzionali. Gli stadi vuoti e i diritti TV sempre meno appetibili passano anche da ciò. Di conseguenza, i costi per i club diventano insostenibili e i fallimenti di società dalla Serie B in giù diventano sempre più frequenti.
Attenzione, però: la Serie A, attualmente, è il secondo campionato nel ranking UEFA per club, alle spalle solo dell’irraggiungibile Premier League. Segno che una base, il fascino e la competitività sono ben presenti, ma a sconcertare è l’aridità dei vivai, sempre meno propensi a produrre campioni degni di questo nome che possano competere con gli omologhi top mondiali.
La situazione non migliora nel cosiddetto calcio di periferia, quello dilettantistico. Gli aumenti dei costi per allestimento e mantenimento delle squadre, l’irreperibilità di personale, la mancanza e/o indisponibilità di strutture perlopiù obsolete rendono tutto ciò per imprenditori e appassionati un vero e proprio rischio. Tesserati e arbitri calano ogni anno e il calcio inteso come aggregatore sociale sta man mano scomparendo dalle aree interne e dai piccoli comuni. Una mancanza di visione e di sostegno da parte degli organi preposti per queste piccole realtà è palese e, di questo passo, nei prossimi anni si andrà sempre peggio.
Ora più che mai serve intervenire in maniera concreta. Un piano strutturale a livello nazionale che possa portare maggiori investimenti nel settori, incentivi fiscali per chi intende investire e una maggiore rete tra territorio, scuola e sport può essere una soluzione che può coinvolgere anche la crescita dei vivai. Ci vuole il coraggio di osare e di voler cambiare le cose per stare al passo con i tempi e con il resto d’Europa.
Foto fonte: Intoscana.it
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