La Pasqua al tempo del Coronavirus come riscoperta dell’essenziale

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La Pasqua al tempo del Coronavirus come riscoperta dell’essenziale

di Giangaetano Petrillo

Non accadeva dal 1349, quando la peste nera cominciò a diffondersi anche in Terra Santa. Fu allora l’ultima volta che il grande portone di legno del Santo Sepolcro venne chiuso. Esattamente come è accaduto in questi giorni a Gerusalemme. La basilica più sacra della cristianità, dunque, dove si venera la sepoltura di Gesù Cristo dopo la sua crocefissione sul Golgota, si riaprirà in data da destinarsi. Il coronavirus ha stravolto letteralmente le celebrazioni di Pasqua. Alcuni leader politici chiedono che vengano riaperte le Chiese, ma la vita di fede è solo celebrazione? Quella che vivremo questa Domenica sarà sicuramente una Pasqua che non dimenticheremo con facilità, proprio perché interrompe quell’abitudinario rito. Questo da un verso può risolversi come un’immensa opportunità per riscoprire il valore della resurrezione. Molti ritengono, semplificandone il valore e la dottrina stessa della Croce, che la resurrezione sia la capacità di sopravvivere nonostante la morte. Un elisir di lunga vita, che consenta a tutti, purché contriti, di sconfiggere la morte ed essere eterni. Potrebbe anche essere così, se solo considerassimo Dio come uno stregone. Papa Francesco ci ha invitato a vivere questo periodo quaresimale di preparazione alla Pasqua, con un atteggiamento servile, mettendoci al servizio dei nostri fratelli più umili, in difficoltà. Facendoci così servi della miseria, della paura, della solitudine. “Cerchiamo, se possiamo, di utilizzare al meglio questo tempo. Siamo generosi, aiutiamo chi ha bisogno nelle nostre vicinanze. – conclude poi il Pontefice – E’ la speranza di un tempo migliore, in cui essere migliori noi, finalmente liberi dal male e da questa pandemia”. Nella seconda lettura ascoltata la scorsa domenica, nella lettera che San Paolo invia ai filippesi, si legge uno dei passaggi fondamentali per una nuova catechesi della Pasqua. In questo passaggio l’apostolo scrive “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo”. Il Figlio di Dio decide, con un atto libero, di svuotarsi di se stesso, ossia estraniarsi dalla sua forma divina e prendere la natura umana, cioè di servo, poiché tale è la nostra natura dal punto di vista di Dio. Il Figlio di Dio si è adattato a vivere la nostra vita passibile di sofferenza e di tutto ciò che l’essere come noi comporta, eccetto il peccato. Ciò non significa che Gesù, facendosi uomo, ha cessato di essere Dio. Questo deve essere il senso vero della Pasqua, cioè la capacità di estraniarci. Allontanarci dal nostro ego e avvicinarci agli altri. Come Gesù, dunque, vivere la nostra vita al servizio degli altri, delle loro sofferenza. E farlo soprattutto in un momento in cui sono molti i nostri vicini in difficoltà, che stanno attraversando un periodo triste. Allora il significato biblico della Pasqua è il non trattenere nulla per sé, accettando liberamente di annullare il proprio ego per riempire gli altri di dono, di compassione, di benevolenza. Non troviamo un solo momento, una sola parola, un solo gesto del Signore che dia l’impressione che Gesù trattenga qualcosa per sé, dica o faccia qualcosa a suo vantaggio. Dà sempre l’impressione di uno che sta solo donando. In effetti, essendo l’amore in atto, Gesù non può comportarsi diversamente e come uomo diventa un modello perfetto. Tu non avrai mai il dono di me se io non decido di dare, ossia non accetto di svuotarmi. Questa è una regola a cui nessuno può fare eccezione; il dono non si finge, lo si fa nella misura in cui davvero abbiamo accettato questo gesto, che Gesù incarna alla perfezione. Cristo ha fatto così, il cristiano deve perciò fare così. Non si possono prendere distanze da Gesù. Tuttavia abbiamo un grandissimo ostacolo, aggravato dal fatto che siamo peccatori: è il nostro ego fortissimo, la tendenza a farci centro negli altri, a sacrificare gli altri al nostro io, a interpretarci come assoluti, a impedire di avere gli stessi sentimenti di Gesù. Quanti esempi abbiamo attorno a noi che dimostrano quest’atteggiamento prevaricatore, rendendoci colpevoli di diversi crimini contro i più deboli, e contro la stessa natura. Questa pandemia deve rinforzare in noi la consapevolezza che, come lo stesso Pontefice ha ripetuto più volte, “nessuno si salva da solo”. Questi tempi possono, quindi, farci riscoprire la necessità di essere solidali, fraterni, compassionevoli. Ci sono persone tormentate perché non sono quello che vorrebbero, devastate dall’invidia, annullate dal senso della loro inferiorità, ubriacate dal senso della loro superiorità. Il vivere per sé non fa felice nessuno. È per questo che Gesù ha opposto a questa potentissima voglia di auto-affermarci il comando dell’auto-negazione: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Non ci ha invitati al suicidio, ma ad odiare una vita egocentrica per poter vivere in quella che lui ci ha insegnata: una vita altro-centrica, dove è l’altro il centro della vita, non io; dove l’altro è Dio e sono gli altri. Odiare la propria vita: suona in modo terribile, ma è il comando della beatitudine. Ogni scontro, ogni difficoltà, ogni inquietudine, grande o piccola, della nostra vita è dovuto al nostro ego che si fa sentire, protesta. Accade proprio a tutti, è la nostra condanna. Accade anche quando si fa del bene, perché si può fare del bene con spirito egocentrico. Ed è di questi giorni la dimostrazione di quanti, soprattutto in casi emergenziali, amano apparire caritatevoli, o, ancora peggio, diabolicamente cercano di approfittare dell’altrui difficoltà, cogliendo l’opportunità di trarne un vantaggio economico. È la cosa più triste che ci possa accadere, la più grossa delusione per Dio e anche il più grosso trionfo del demonio. Voglio riportare, a proposito di quanto abbiamo detto, le parole di Giorgio Armani che contattato da una trasmissione ha risposto “Parlo con i fatti in questa fase. Faccio cose utili per il mio paese”. È una lezione che i cristiani devono continuamente imparare, generazione dopo generazione, con tanta umiltà e tanta pazienza. Altrimenti si rimane in un cristianesimo che è inteso come dottrina, come culto, con la sola devozione, la liturgia della domenica, le preghiere, la salmodia, come moralità stabilendo che certe cose non si fanno, ma tutto questo non intacca il nostro ego che continua a gestire i sentimenti, la volontà, la responsabilità, i rapporti. Tutto può diventare una grande maschera, ecco perché è meglio cominciare dall’essenziale. Cominciare con l’essere cristiani nel nostro intimo, riscoprire il gesto essenziale di un sorriso, di una carezza, di un atto di carità fraterna verso il nostro prossimo, superando le diversità culturali, anzi facendo delle nostre diversità un nuovo punto di partenza, un trampolino di lancio verso una vita nuova. In uno dei passi più famosi della nostra letteratura, Antoine De Saint-Exupéry, ne “Il piccolo principe”, scrive, “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Non vi è nulla di più vero. E proprio questo tempo può restituirci il vero significato di essenziale, perché spesso i nostri occhi sono inquinati come quei cieli notturni di una città. Non riesci a percepire la bellezza di un cielo stellato, perché l’inquinamento di una luce artificiale nasconde, copre, la luce vera delle stelle. Così i nostri occhi, inquinati da pregiudizi e dalla velocità delle nostre vite oramai interconnesse che alterano i nostri pensieri e i nostri sentimenti, non riescono a cogliere la bellezza delle cose essenziali. Come può essere trascorrere del tempo con le persone care, i nostri familiari, i nostri compagni di vita, o con chi soffre la solitudine o la povertà. Questo tempo può consentirci di riscoprire, appunto, quell’essenziale che spesso è invisibile, Come accetto di annullarmi, risorgo. E non solo resurrezione dopo la morte, ma quel vivere già con spirito risorto che è proprio un allargare il cuore agli altri. Dunque, sarà sicuramente una Pasqua diversa dalle altre. ora sta a noi decidere se poterla rendere migliore.

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