Sant’Angelo a Fasanella, tra eremitismo e culto micaelico

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Sant’Angelo a Fasanella, tra eremitismo e culto micaelico

di Giangaetano Petrillo

[…]Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Che cosa fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita»[…]. Thomas Merton, monaco americano (1915-1968), scrisse a proposito della solitudine: “La vita solitaria, essendo silenziosa, dissipa la cortina di fumo delle parole, posta dall’uomo tra la sua anima e le cose. Nella solitudine rimaniamo faccia a faccia con la nuda essenza delle cose. Eppure scopriamo che la crudezza della realtà, da noi temuta, non è motivo né di paura né di vergogna. Viene ricoperta nell’amichevole comunione del silenzio, e questo silenzio è legato all’amore”. Lo spazio considerato più consono per praticare l’ascesi, ovvero la separazione dal mondo e la contemplazione di Dio attraverso la preghiera incessante e la negazione di ogni bisogno del corpo, è quello delle cavità naturali. Non dimentichiamoci che lo stesso Gesù nasce e risorge all’interno di una grotta.

Fin dalle prime fasi di diffusione del Cristianesimo costituiva pratica comune fuggire il mondo e utilizzare le grotte per praticare forme di eremitismo estremo. Numerose sono le esperienze di monachesimo praticato in grotta, particolarmente nei deserti orientali. L’archetipo della grotta indica il luogo interiore, la propria coscienza che è collegata in asse con la cima della montagna, luogo da raggiungere per redimersi dal peccato. 

Ad imitazione del profeta Elia che ritrova nel silenzio della caverna dove già si era rifugiato Mosè, sul monte Oreb, nel Sinai, il dialogo con Dio e il senso profondo della sua missione di profeta, numerosi altri monaci scelsero di vivere in caverne e anfratti naturali nei deserti di Egitto e Palestina. Questa pratica, dunque, è un altro degli aspetti prevalenti della testimonianza legata al monachesimo italo-greco presente sul nostro territorio. Molte infatti sono le cavità, gli anfratti che tutt’oggi continuano a testimoniare il passaggio di questi monaci eremiti che in questi luoghi montuosi lontani dalle coste e dai centri abitati, trovavano il giusto rifugio per il proprio spirito e la propria anima. Questa regione montuosa era una delle più indicate, e tutto ciò ce lo testimoniano le frequenti grotte che sono state, appunto, abitate. Oltre che dedicate al culto di Sant’Elia il profeta e genericamente al culto mariano, molte delle grotte scelte dai monaci per praticare l’ascesi costituivano preesistenti santuari dedicati al culto micaelico. In questa regione i santuari in grotta destinati al culto micaelico costituiscono la stragrande maggioranza dei luoghi di culto rupestri presenti, ad imitazione del santuario garganico.

Il Santuario di San Michele sul Gargano ha da sempre segnato una meta importante per i pellegrini. Si narra che l’8 maggio del 490 un giovane di nome Gargano, facoltoso pastore sipontino, che portava al pascolo gli armenti, perse il suo bue più bello. Dopo averlo a lungo cercato, lo trovò davanti all’imbocco di una grotta. Per la rabbia gli scagliò una freccia che miracolosamente non colpì il toro bensì la caviglia di Gargano. Turbato dall’evento, questi si rivolse al Vescovo di Siponto che, dopo aver ascoltato il racconto, ordinò a tutta la popolazione tre giorni di digiuno e preghiera. Alla fine del terzo giorno al Vescovo apparve in sogno l’Arcangelo Michele che si dichiarò patrono e custode dell’anfratto. A questa seguirono altre apparizioni, che produssero un sempre più forte legame spirituale tra la regione pugliese e il culto verso l’Arcangelo. Fin qui la leggenda, ma sappiamo benissimo che, già in epoca pagana, la pietra conservava un potere taumaturgico, capace di lenire le sofferenze più gravi. Ma senza ricorrere a esperienza cultuali dell’antichità, basta considerare quanto questa convinzione abbia influenzato anche molti romanzi di fantasia e serie tv di grande successo.

In “Harry Potter e la pietra filosofale”, già intuibile dal nome del titolo, si parla di questa “pietra”, appunto, che è, per eccellenza, la sostanza catalizzatrice simbolo dell’alchimia, capace di risanare la corruzione della materia. Nel mondo magico creato dalla fantasia di J.K.Rowling questa pietra serve per produrre l’elisir di lunga vita, dunque una delle tre proprietà attribuite dagli stessi filosofi e alchimisti a questo prezioso minerale. Nella saga de “Il trono di spade” viene menzionato il “vetro del drago” che i “maestri chiamano ossidiana”. Ma fuori dal fantasy di George R. R. Martin, l’ossidiana è una pietra che compone buona parte della crosta terrestre. Lo storico greco Erodoto descrive in un suo saggio come gli Egizi solevano mummificare i morti e che per sviscerarli incidevano i corpi con una pietra Etiope, nera e molto affilata, l’ossidiana appunto. Questa digressione ci è utile per capire come l’uomo abbia da sempre trovato particolare, e continua tutt’ora a farlo nelle produzioni fantasy, il proprio legame con la pietra; sia che fosse un anfratto o un semplice ciottolo da poter decorare, come frequentemente avveniva durante l’epoca paleolitica. Dunque non deve assolutamente meravigliarci se, ad un tratto della propria vita, un monaco decidesse di ritirarsi in solitudine e ritrovare se stesso all’interno di una pietra.

Ed è quanto accadeva ripetutamente anche ai monaci che decidevano di abitare i nostri luoghi. Ritornando al racconto sul culto micaelico, nonostante le tante legende sorte intorno alla usa figura, furono in realtà i Longobardi, convertitisi al Cristianesimo, ad eleggere San Michele a protettore trasformandolo in un guerriero che sostituisce la lancia con la spada. Anche l’elmo e le vestigia militari sono il retaggio di un’epoca in cui la Chiesa era impegnata ad imporre il Cristianesimo con le armi attraverso le Crociate. E dunque con la dominazione longobarda che nel nostro territorio trova espansione il culto legato all’arcangelo Michele, il guerriero di Dio.

Un luogo fondamentale per respirare quanto stiamo scrivendo è Sant’Angelo a Fasanella, posto alle pendici del Massiccio degli Alburni, che ospita una delle evidenze cultuali legate all’eremitismo monacale più importati dell’intera area. La Grotta di San Michele Arcangelo è una delle testimonianze più vivide e dirette dell’ascetismo monacale di quei tempi, del rapporto spirituale con l’isolamento eremitico in grotta e del preesistente culto micaelico. Entrati in grotta si viene accolti da un ambiente ampio, superato il quale, vi si trovano due ambienti separati. Il primo consente l’accesso ad un campanile in muratura addossato alla parete rocciosa. Il secondo si sviluppa quasi difronte al portale d’accesso. Questo spazio custodisce numerose sepolture, alcune risalenti al periodo del basso medioevo.

L’altare di San Michele è collocato subito a destra del vano d’ingresso. Dietro l’altare una grande vasca scavata nel banco roccioso è destinata alla raccolta delle acque di stillicidio. Un ponticello in muratura, le cui pareti esterne conservano ancora degli affreschi medievali, consentiva ai pellegrini di immergervisi. In quasi tutti i santuari micaelici esistono pozzi o vasche di raccolta per le acque di stillicidio, per soddisfare le esigenze devozionali dei numerosi pellegrini. Anche questa pratica è molto legata ai culti anctichi, soprattutto perché resa miracolosa dal fatto che fuoriuscisse dalle stesse rocce della grotta ritenuta sacra. Si legge infatti nella Bibbia che fu lo stesso Dio a far sgorgare acqua dalla roccia del monte Oreb. Quindi ricorsi della nostra fede, una stratificazione culturale e cultuale, perché dove un tempo c’erano i nostri antenati Sapiens arrivarono i Longobardi con il loro culto micaelico, seguiti dai monaci eremiti, e infine noi, pellegrini o semplici visitatori.

Affascinanti dalle meravigliose concrezioni naturali e dall’incantevole cultura che, noi umani, ci trasciniamo dietro da millenni. E proprio come un fascio d’erba che trascinandolo raccoglie tutto ciò che trova a terra, così la nostra storia nei secoli passati e in quelli futuri, continuerà a raccogliere tutte le nostre splendide testimonianze. Fatte sì di tante guerre e carestie, ma anche tanta arte, cultura e tradizione.

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