Sub ‘pesca’ anfora antichissima dal mare del Cilento, Sipbc: «Non svelare a nessuno il luogo preciso»

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Sub ‘pesca’ anfora antichissima dal mare del Cilento, Sipbc: «Non svelare a nessuno il luogo preciso»

La Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali interviene dopo il ritrovamento di un’antichissima anfora avvenuto da parte di un sub di Palinuro nel mare del Cilento. Ecco la lettera inviata alla nostra redazione. La pubblichiamo integralmente di seguito:

Leggevo con piacere sul vostro giornale del rinvenimento di un’anfora romana al largo delle coste di Palinuro da parte di un sommozzatore. Un oggetto antico che torna in vita dopo molti secoli è un avvenimento dal grande fascino, avvincente ed emozionante per chi lo vive e di grande suggestione lo legge. Questa storia, per noi della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali, è occasione utile per riflettere e sensibilizzare su come comportarsi quando si rinvengono fortuitamente beni archeologici nel sottosuolo o nei fondali marini. Ciò a maggior ragione se si tratta di un territorio, come quello dell’area del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, riconosciuta dall’UNESCO come paesaggio culturale di eccezionale valore universale o ove non è insolito trovare reperti. È quindi importante sensibilizzare ad un corretto e consapevole approccio verso il proprio patrimonio culturale perché come emerge sia dai social network che dai giornali, spesso vengono posti in essere (e talvolta anche osannati) dei comportamenti che, anche se in buona fede e magari realizzati da amanti del territorio e della propria storia, in realtà sono comportamenti dannosi proprio per il territorio e per la sua storia.

Come comportarsi per non fare danni? Per introdurre la questione bisogna preliminarmente evidenziare come il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio disciplini le attività di ricerca archeologica riservandole allo Stato e da questo date eventualmente in concessione soltanto previa autorizzazione. Alla base di tutto ciò c’è un motivo ben preciso, ossia garantire standard scientifici nelle attività di ricerca e di scavo ed evitare comportamenti improvvisati o amatoriali.

Per comprendere il perché di tutto ciò bisogna evidenziare come bene culturale non sia soltanto il reperto, da studiare una volta venuto alla luce, ma bene culturale è tutto il giacimento in cui quel bene si trova. L’attività di scavo non è infatti il semplice rimuovere la terra sopra e attorno ad un reperto antico con la finalità di portarlo alla luce. Per dirla in maniera un po’ più tecnica potremmo dire che l’attività di scavo è una operazione analitica di scomposizione della stratificazione archeologica nelle sue singole componenti, le cosiddette unità stratigrafiche, che consiste in una sorta di smontaggio della stratificazione nell’ordine inverso in cui si è formata, partendo dalle unità stratigrafiche più recenti arrivando a quelle più antiche. Quindi si studiano i processi formativi e le relazioni tra le varie unità stratigrafiche e si documenta ogni cosa. Senza dilungarsi troppo su questo punto, quello che è importante far emergere è come l’attività di scavo, smontando la stratificazione, la distrugge ed è pertanto irreversibile: per questo le attività di ricerca devono essere realizzate da chi ha le giuste competenze tecnico-scientifiche poiché come non è semplice attività di rimozione della terra attorno ad un reperto con la finalità di portarlo alla luce ma è una pratica di ricerca storica che, comportamenti sprovveduti, spesso posti in essere in buona fede, rischiano di danneggiare irrimediabilmente. Quindi lo Stato, per garantire standard scientifici adeguati, sottopone le attività di ricerca e scavo ad autorizzazione. Ma cosa accade quando i reperti archeologici non sono rinvenuti durante una campagna di scavo ma occasionalmente? Come si tutelano il reperto e il giacimento in cui è collocato? Per rispondere a queste necessità di tutela vi sono dei comportamenti specifici da tenere in caso di rinvenimento fortuito disciplinati dalla legge. Dei comportamenti necessari sia per la tutela del singolo bene ritrovato ma anche per la tutela della stratificazione in cui quel bene si trova e di cui quel bene è parte integrante. La Storia è nella stratificazione. Lo scavo stratigrafico è ricerca storica.

Vediamo allora cosa dice la normativa in materia di ricerche archeologiche e di rinvenimenti fortuiti e quali comportamenti tenere. L’art. 90 del Codice dei beni culturali e del paesaggio dice che chiunque rinvenga fortuitamente dei beni culturali nel sottosuolo o nei fondali marini – quindi non a seguito di una attività volontaria tesa a rinvenire cose di interesse culturale – deve provvedere a conservare le cose “lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute” e a farne denuncia alla autorità entro 24 ore dal rinvenimento cosa. Osserviamo come il Codice non disponga semplicemente di lasciare le cose lì dove si trovano, ma “nelle condizioni e nel luogo” in cui si trovano. In poche parole quando si rinviene un reperto archeologico bisogna lasciarlo lì dov’è e così com’è e farne quindi comunicazione alle autorità. Quando si rinviene un bene archeologico bisognerebbe lasciarlo lì dov’è e non interferire in alcun modo con la stratificazione e, soltanto se vi sono delle necessità di conservazione che consigliano la rimozione, allora la legge dice che lo scopritore ha facoltà di rimuoverlo per custodirlo. Per di più, durante la conservazione, lo scopritore o detentore assume la qualifica di esercente una funzione pubblica e le spese di custodia e di rimozione saranno integralmente rimborsate dal Ministero. Naturalmente la rimozione deve avvenire in presenza di necessità conservative, altrimenti non solo non si ha diritto ad alcun rimborso ma addirittura questo comportamento rischierebbe di configurare il reato previsto e punito dall’art.175 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio sulle violazioni in materia di ricerche archeologiche poiché, la rimozione non giustificata da necessità conservative, potrebbe integrare la violazione dell’obbligo di temporanea conservazione che grava sullo scopritore fortuito.

Detto questo, quali sarebbero i casi in cui poter (o, meglio, dover) rimuovere un bene di natura archeologica fortuitamente rinvenuto? Ebbene la legge non fornisce un elenco di ipotesi precise e dettagliate e pertanto sono delle valutazioni da farsi concretamente di volta in volta. In ogni caso, al di là della rimozione o meno, ciò che bisognerebbe fare è sicuramente segnalare alle autorità il luogo e le modalità del ritrovamento (se possibile, geolocalizzando il luogo di rinvenimento e scattando anche delle fotografie); non dire a nessuno dove è stato effettuato il rinvenimento; non portare le cose a casa e fare ricerche personali nel terreno con lo spirito di voler donare poi i pezzi ad un museo esistente o da creare. Inoltre il luogo di rinvenimento o i luoghi in cui sono frequenti rinvenimenti non dovrebbero essere oggetto di escursioni per turisti etc e, magari, dirgli che qui o lì si rinvengono reperti e, magari, tirare fuori dalle tasche uno o più reperti ritrovati proprio in quelle zone e mai denunciati. Purtroppo anche comportamenti di questo tipo sembrerebbero aver luogo e bisogna dire, in maniera chiara, che sono illegali e soprattutto dannosi. Per quanto attiene alla rimozione dei beni dal luogo di rinvenimento, sicuramente, se ci si trova di fronte ad un bene completamente al di fuori del terreno, magari venuto fuori per uno smottamento, per ruscellamento o per altri motivi, prelevarlo potrebbe essere il miglior modo per custodirlo rispetto al rischio di impossessamento da parte di altre persone, ma è bene rimuoverlo con cura, evitando di scavare ulteriormente alla ricerca di tesori nascosti immaginandosi dei provetti Indiana Jones alla ricerca del nulla perduto. Allo stesso modo se il bene è parzialmente interrato bisognerebbe evitare di scavare per farlo emergere. Se si tratta di un bene immobile sicuramente non bisogna fare nulla e lasciare tutto come si trova, senza scavare e né rimuovere eventuale terra o vegetazione: tale vegetazione (così come magari le incrostazioni di terra) potrebbero avere una funzione strutturale e la loro sua rimozione senza le dovute accortezze potrebbe causare danni irreversibili all’integrità del bene. Se il bene viene rimosso e portato magari a casa propria bisogna assolutamente evitare di pulirlo: né usare acqua e né tantomeno sostanze chimiche di qualche genere. Ancora, se ad esempio questo bene si trova in mare bisognerebbe evitare di tirarlo fuori, sia per i possibili danni causati nelle materiali attività di rimozione ma anche perché la sola fuoriuscita dall’acqua di mare e il contatto con l’aria potrebbe causare dei danni. Insomma i rischi sono tanti ed è importante sapere che non ci si può improvvisare magari lasciandosi travolgere dall’entusiasmo di aver rinvenuto qualcosa di antico ma bisogna essere prudenti e consapevoli, perché soltanto così si fa del bene al proprio territorio e alla propria storia e invece, diversamente, si rischierebbe di fare danni.

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