Suor Soledad, i perché della sentenza: «Indagini non approfondite, mistero su dettagli sessuali conosciuti dai bambini»

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Suor Soledad, i perché della sentenza: «Indagini non approfondite, mistero su dettagli sessuali conosciuti dai bambini»

I giudici della Corte d’appello hanno assolto con formula piena tutti gli imputati coinvolti nel processo sui presunti abusi sessuali ai danni dei piccoli alunni dell’asilo Paolo VI di Vallo della Lucania. Ma nelle motivazioni della sentenza, arrivate dopo 90 giorni, gli stessi giudici sospettano che i bambini abbiano potuto subire dei maltrattamenti. Principale coinvolta e indagata suor Soledad, una novizia peruviana all’anagrafe Carmen Soledad Bazan Verde, accusata di aver abusato di oltre quaranta bambini di età dai 3 ai 5 anni dell’asilo gestito dalle religiose dell’ordine di Santa Teresa del Bambino Gesù, poi due suore accusate di favoreggiamento, e in un secondo filone d’inchiesta indagati anche il muratore Aniello La Bruna (ritenuto il presunto fidanzato di suo Soledad) e il fotografo Antonio Rinaldi. Questi ultimi erano stati già assolti in primo grado da Tribunale di Vallo che invece aveva condannato la suora a 8 anni e a 16 mesi le due consorelle, Agnese Cafasso e Giuseppina De Paola. Presunti abusi a Vallo della Lucania: assolta Suor Soledad e tutti gli imputati. 

La Corte d’appello di Salerno ha dunque accolto la richiesta del procuratore generale Maddalena Russo, che aveva chiesto l’assoluzione per tutti gli imputati. Ma forse qualcosa in quell’asilo è successo. Lo ipotizzano gli stessi giudici nelle motivazioni della sentenza depositata nei giorni scorsi. Nello specifico – scrivono – alla luce dell’intero compendio probatorio dei medici si ritiene che nessun abuso di natura sessuale sia stato commesso all’interno dell’asilo dalla suora e che le prove portino ad escludere la sussistenza del reato di atti sessuali ai danni dei piccoli alunni dell’istituto – ma non esclude che – le attività investigative hanno compromesso la possibilità di accertare in modo obiettivo e sereno i fatti verificatisi, che al più si concretano in ipotesi di maltrattamenti (reato che però ormai sarebbe prescritto in ragione della data dei fatti e del tempo trascorso.

Sul secondo filone i giudici sottolineano «che in assenza di altri elementi di prova da porre a riscontro dei fatti (intercettazioni, reperimento dei reperti fotografici e audiovisivi) le testimonianze indirette dei minori sono assolutamente inidonee a comprovare i reati». I giudici poi ipotizzano che all’origine delle testimonianze rese dai bambini possano esserci «l’involontario stimolo al racconto proveniente dalle persone che circondavano i minori, il condizionamento generato sulla psiche di questi ultimi dal clamore provocato dalle investigazioni e il desiderio – scrive il collegio – ben comprensibile di un bimbo giovanissimo di continuare ad ottenere dai genitori le cure e il trattamento oltremisura affettuoso ricevuto con ogni probabilità nel trimestre precedente». 

Nelle motivazioni i giudici però «bacchettano» gli inquirenti sia per il primo che per il secondo filone d’indagine. «La presenza di un quadro dichiarativo di tale complessità avrebbe reso necessario l’esperimento di un nuovo incidente probatorio e ciò allo scopo di operare con l’ausilio di esperti, l’opportuna depurazione delle dichiarazioni dei minori e di far affiorare la realtà se esistente dei fatti da essi narrati», scrivono e aggiungono: «Una operazione possibile solo se posta in essere tempestivamente ossia nella fase delle indagini preliminari, nei modi opportuni e con l’ausilio di qualificati psicologi dell’età evolutiva. Rimane il mistero su come i minori (nello specifico tre) abbiano potuto conoscere in modo dettagliato determinate pratiche sessuali. Nei loro racconti i tre minori hanno fatto riferimento a scene di esplicito tenore pornografico» e qui il riferimento a quanto raccontato dai bambini su «scene di sesso orale e pipì sul seno».

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