«Terra quae cicera alit», è Cicerale la patria dei ceci

| di
«Terra quae cicera alit», è Cicerale la patria dei ceci

di Giangaetano Petrillo

Percorrendo la via che da Paestum porta nel ventre del Cilento, si raggiunge Cicerale, uno dei caratteristici borghi cilentani che risalgono al medioevo. La particolarità del suo nome lo si deve ad un legume in particolare, e l’etimologia del piccolo borgo è chiara a partire già dallo stemma. Infatti sullo stemma del Comune di Cicerale compare una piantina di ceci e la scritta «Terra quae cicera alit», un’antica frase latina che tradotta significa «Terra che nutre i ceci», testimoniando una produzione importante sin dal Medioevo. Dimostra quanto esista uno stretto rapporto tra questo territorio e la sua coltivazione per eccellenza, evidenza che compare anche nel nome stesso del paese. Il legume coltivato in questa località, originario dell’Asia occidentale e arrivato in occidente migliaia di anni fa, è protagonista della celebre sagra che si svolge proprio a Cicerale nel mese di agosto.

Questo popolare evento a conclusione del periodo della raccolta, che richiama molti turisti, segue in realtà quei rituali d’impronta greco-romana, che vedevano la popolazione tutta offrire parte della raccolta agli dei in segno d’omaggio e gratitudine. Oggi che gli dei sono scomparsi e le religioni richiedono altri tipi di sacrificio, parte di questa raccolta viene condivisa con il resto della comunità e con i diversi turisti che affollano le nostre località. Infatti ancora oggi nei terreni di Cicerale si produce una varietà locale di piccoli ceci rotondi, dal colore leggermente più dorato rispetto a quelli comuni, con sfumature nocciola chiaro, e dal sapore intenso. Per il suo basso contenuto di umidità alla raccolta si conserva per molto tempo e tende ad ingrossarsi notevolmente in fase di cottura.

Per coltivarlo si seguono i criteri dell’agricoltura biologica, non si usano prodotti chimici e non si fa irrigazione. Vista l’importanza c’è persino un disciplinare che ne vieta l’innaffiatura e ne tutela la coltivazione sui terreni gestiti in biologico. Questo perché le qualità organolettiche siano sempre alte e la dimensione del legume media. La raccolta, alla fine di luglio, è molto faticosa. Quando il seme è maturo le piante ormai secche vengono estirpate in campo e lasciate in loco ad asciugare, fino a che non sono abbastanza secche per la trebbiatura. Si appoggiano le piante su sacchi di iuta, si coprono e si battono con grossi bastoni di legno oppure si trebbiano con una piccola trebbiatrice posta a ridosso del campo e alimentata a mano. Il terreno accidentato e la presenza sulla pianta di baccelli molto vicini al terreno impediscono l’utilizzo di una trebbiatrice semovente. Il cece, in realtà, fa parte della storia e dell’essenza di un luogo che si sviluppa in piena sintonia con le sfumature ed i profumi della macchia mediterranea.

Abbiamo spesso detto che oggi sempre più si pensa al Cilento immaginando spiagge e scenari marini. Un grosso errore, o per lo meno lo è in parte. Un errore comunque frutto di un turismo che si è direzionato solo verso la costa, dimenticando che gran parte di questo affascinante e multiforme territorio sta proprio alle sue spalle, ed è proprio qui, tra la natura incontaminata dell’entroterra, che il Cilento nasce. Luoghi che servono a ritrovare i ritmi del passato, della natura non ancora violentata in modo irrecuperabile dalla mano dell’uomo, anzi qui è stata proprio la mano dell’uomo a creare questa meravigliosa relazione tra la natura e il sapiens. Questo legame è quella che noi chiamiamo civiltà contadina, e per una civiltà contadina, abituata ai ritmi lenti della terra e lontana dai grandi centri, i prodotti più importanti sono sempre stati quelli conservabili a lungo. Ed i legumi appartengono a questa categoria, tanto cara ai nostri nonni che non godevano allora della comodità di elettrodomestici come i frigoriferi.

Ecco, dunque, cosa si racchiude dentro un semplice e insignificante legume, rispetto ai prodotti fast food, come il cece. Giunto persino a dare il nome ad un Comune. Abbiamo capito quanto la gastronomia racconti molto più di quello che sembra. In tutti questi prodotti della terra, lavorata con le dolci e insieme ruvidi e callose mani dei contadini, vi è tutto il Cilento contadino, ricco di allevamenti, prodotti spontanei, sapienze popolari, ancora oggi caratterizzato da ritmi più lenti che in altre zone d’Italia. Abbiamo visto come anche i virus qui tendono a rallentare il proprio contagio. Questo territorio è arricchito da una storia che affonda le proprie radici nel popolo greco, in quello lucano e in quello romano. Popoli dediti alla pastorizia e alla coltivazione. Il più immenso e grande patrimonio che ci hanno lasciato.

Consigliati per te

©Riproduzione riservata