Università, è crisi di iscritti? Un’altra conseguenza collaterale del coronavirus

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Università, è crisi di iscritti? Un’altra conseguenza collaterale del coronavirus

di Antonio Calicchio

In concomitanza con le immatricolazioni all’università e i test di ingresso per le varie facoltà, ci si domanda qual è l’impatto di questa crisi pandemica di lungo periodo. Svimez – un’associazione privata senza finalità lucrative per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – ha realizzato una analisi in merito a questo argomento. Ne risulta che, la pandemia da Covid-19, avrebbe determinato un decremento di 10 mila iscritti alle università, nell’a.a. 2020/2021, di 2/3 nel Meridione.

E tale calo si verificò pure dopo la crisi economica del 2008. Dei circa 290 mila maturi al Centro-Nord e 197 mila al Sud, chi sceglierà di proseguire gli studi? Di sicuro, coloro i quali possono economicamente permetterseli. La sfida che l’Esecutivo dovrebbe porsi è di assicurare l’accesso ai meritevoli. Ed invece, il nostro Paese, sull’istruzione, risparmia, dove dovrebbe investire, mette il freno, dove dovrebbe premere l’acceleratore. Ciò vale per l’istruzione obbligatoria, ma la situazione non è migliore sul piano universitario. Secondo Anvur (agenzia nazionale di valutazione del sistema scolastico e della ricerca), l’Italia è la terza Nazione, in Europa, per le rette più elevate, oltrepassata solamente da Inghilterra e Paesi Bassi. Di converso, soltanto uno studente su cinque accede ad una borsa di studi, costringendo l’80% degli universitari ad andare avanti da soli, con le proprie forze o col contributo finanziario della famiglia, malgrado il merito. All’estero, la situazione è differente: in Germania, il 25% degli studenti riceve borse di studi, in Spagna, il 30%, e, in Francia, il 40%. In Austria e Germania, non si pagano tasse universitarie, mentre, in Danimarca, Finlandia e Svezia, gli studi sono gratuiti, per i cittadini europei.

Coloro i quali posseggono le qualità e intendono specializzarsi debbono essere sostenuti. La Costituzione repubblicana, del 1948, riconosce e garantisce il diritto allo studio, prevedendo, all’art. 34, commi 3 e 4, che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze … “. Il valore della ricerca rappresenta un valore di natura anche economica e non solo civile e sociale. Del resto, il nostro Paese vanta una tradizione di profonda cultura; però, non ci si può arroccare sulle antiche vestigia: occorre iniziare a produrre nuovi splendori nel campo del sapere umano. E’ ben vero che il cambiamento, spaventa, sempre e comunque, a meno che non venga “truccato” da aumento di qualcosa che abbia dato piacere, in passato, o che soddisfi, nel presente; ma è altrettanto vero che la vita, umana e sociale, è da viversi per ciò che è, senza studiarne ed approvarne o paventarne la nostra interpretazione, come scrisse in un secco, quasi ironico “tweet” san Francesco a sant’Antonio da Padova.

Altri articoli dell’autore: Le elezioni e il fattore angoscia


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