Dal «Salone del Gusto» di Torino a Caselle in Pittari, il racconto della comunità del cibo “Grano di Caselle”: «Seminiamo grano, raccoglieremo futuro!» (FOTO)

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Dal «Salone del Gusto» di Torino a Caselle in Pittari, il racconto della comunità del cibo “Grano di Caselle”: «Seminiamo grano, raccoglieremo futuro!» (FOTO)

«Quando iniziammo con la biblioteca del grano era il 2008 e partimmo dall’idea di seminare i diversi semi di grano nella nostra terra, proprio come se ci trovassimo di fronte ad una biblioteca. Così l’analogia con i libri, semi ed incubatori di saperi, era ed è riassunta nell’etimologia di sapori che è espressione dei tanti grani», parte così il racconto delle giornate trascorse al Salone del Gusto di Torino da parte della ProLoco di Caselle in Pittari che realizza il Palio del Grano, dell’associazione Terra Madre che realizza la Biblioteca del grano, dei «maestri della terra» di Caselle in Pittari e i componenti della Comunità del cibo Grano di Caselle.

«Anche se sapori e saperi suona un po’ come lo slogan visto in tante sagre di paese, se si approfondisce l’analisi, ci si accorge che c’è ancora un altro livello etimologico in comune.  I tanti saperi possono ben rappresentare quella che definiamo biodiversità culturale, ma anche i tanti sapori rappresentano quella che è la biodiversità colturale. L’etimo di saperi e sapori incrocia quello di cultura e coltura. Non è questo un intreccio linguistico casuale, anzi è espressione di una delle forme primordiali di strutturazione delle nostre civiltà. Esiste un legame antropologico profondo tra agricoltura e cultura, l’una determina l’altra e viceversa. Riflettono insieme le più profonde e primarie attività dell’uomo: produrre cibo e con esso realtà sociale e civile. C’è dell’arcaico in questa compenetrazione, e ci si rende da subito conto che non è solo questione di termini. C’è qualcosa di profondamente universale nella relazione con la terra dal momento in cui con essa e con l’azione dell’uomo si riesce a coltivare e produrre cibo. Così, partendo da questo legame stretto tra la nostra terra e la nostra azione, iniziammo con la Ianculidda e la Russulidda,  oggi al centro della neonata “comunità del cibo – grano di caselle”.

Un percorso del recupero che è partito da una semina, atto simbolico di una  speranza attiva,  e che di anno in anno si è fatto sostanza organizzativa per un nuovo slancio, per una riabilitazione dell’attività agricola ed enogastronomica del nostro territorio, per un nuovo modo della produzione. Ristoranti, pizzerie, panifici, aziende agricole, cooperative e contadini per iniziare a dare senso ad un recupero che non trova il suo fine nell’aver salvato un seme, atto essenziale ma non finale. Il senso è nella prospettiva che tali semi “incarnano”, nella loro capacità di farsi discorso etico, economico, culturale. Questo racconto, questa storia esperita sulle nostre mani, questa ambizione operante, ci ha visto protagonisti al Salone del gusto-Terra Madre di Torino. La prima infornata integralmente di Ianculidda l’abbiamo simbolicamente e materialmente destinata alla capitale Sabauda e noi stessi ne abbiamo apprezzato gusto e sapore in terre che l’altro ieri ci hanno sopraffatto, ieri ci hanno visti come immigrati e che oggi invece ci guardavano con interesse e stupore. Vuoi perché, i casellesi di Caselle torinese erano incuriositi da altri casellesi che coltivavano grano e raccontavano una storia per il futuro. Ma vuoi soprattutto perché a Torino c’era il mondo, quello che ci hanno insegnato a vedere con i colori della pelle e della geografia politica e quello che sempre più dovremmo imparare a riconoscere come il tutto delle diversità, della vita che ci appartiene in quanto umanità universale, di quel nuovo umanesimo che soprattutto attraverso il cibo crea convivialità. Petrini, rieletto presidente all’unanimità, nel congresso di chiusura, ha proposto di generare complicità nelle azioni del futuro. La complicità dell’appartenenza, della reciprocità, del rilancio.

Un’azione, che sempre nelle parole di Petrini, deve partire dal cuore ed essere esperita con gioia. Il fondatore di Slow Food  non è nuovo nel proporre parole che si facciano carico dei percorsi collettivi da intraprendere. Resilienza, Morigeratezza, complicità, sono quelle che più di tutte ci invitano a rivedere i nostri stili di vita e di consumo e a porci in essere come soggetti attivi. E’ forse questa la nuova via della politica? Slow Food va di certo oltre la gastronomia ed il nostro percorso casellese può esserne una testimonianza concreta. La nostra strada si è intrecciata con Slow Food non di certo per mettere un marchio al nostro cibo e non solo perché non ne abbiamo bisogno,  ma perché è l’antitesi della nostra azione etica e civile. Essere a Terra Madre, raccontare la nostra storia, scambiare i nostri semi, è stato il modo per incontrare il mondo del futuro e per essere in esso parte attiva. Ci siamo sentiti veramente parte di un tutto fatto di diversità a Torino, abbiamo raccontato ed ascoltato, abbiamo visto e fatto vedere e soprattutto abbiamo assaporato e fatto assaporare. Il nostro pane e i nostri semi sono diventati ambasciatori universali della nostra terra. Quando una signora abruzzese ha pianto assaggiando un pezzo di pane, ci siamo sentiti portatori di memoria del mondo contadino. Si, la memoria, quella che il nostro pane contiene nella forma e nella materia. Ù lluvato, ù criscitu, la pasta madre che utilizziamo nella panificazione, è l’incubatrice di tale memoria. La stessa di sempre, la madre di una lievitazione arcaica e futura, il segreto di un alchimia che non può e non deve essere arginata nella sola capacità chimica degli elementi.

Così, dal pianto della memoria ai sorrisi delle semine che verranno. Abbiamo scambiato semi con ragazzi dell’Oregon, della Bretagna, della Lituania, della Germania. Abbiamo incontrato contadini contemporanei del mondo e  della nostra Italia. E anche qui, nella nostra penisola mediterranea, abbiamo scambiato semi con Bacoli, Como, Aosta, Torino. E’ questa forse la più importante esperienza maturata: ci siamo sentiti orgogliosi e felici di possedere grano e di poterlo scambiare. La comunità del cibo Grano di Caselle, ha fatto la sua parte e l’ha fatta da protagonista. In fondo la nostra storia è una storia di protagonismo. Nasce con il “Palio del Grano” e nasce proprio ridando protagonismo alle nostre identità culturali, al mondo contadino. Siamo andati oltre le teche negli anni e ci siamo resi conto che la musealità non ci appartiene. Il palio, nelle immagini proiettate a Torino, è risultato il motore di tutto questo fermento e davvero non si può prescindere da esso. Come non si può prescindere da #campdigrano, altra rivoluzionaria esperienza nata nel Palio. L’agricoltura è per questo oggi, più vicina al nostro futuro e dire “va zappa” è un complimento più che un’offesa. E’ questa l’espressione più audace del “Subbicasutta” (rivoltamento) cilentano che si è materializzato negli anni a Caselle in Pittari. Protagonisti lo siamo tutti e, giacché la prospettiva è sotto i nostri occhi, non ci resta che continuare. Seminiamo grano, raccoglieremo futuro!»

«Ringraziamo – concludono – il nostro primo compare Angelo Avagliano, il professore Nicola di Novella, il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, Nerio Baratta e la condotta Camerota – Golfo di Policastro nella persona di Rosanna Mazzeo».

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