SanTarantella: successo a Napoli per lo spettacolo dedicato a Mastrogiovanni (FOTO e INTERVISTA)

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SanTarantella: successo a Napoli per lo spettacolo dedicato a Mastrogiovanni (FOTO e INTERVISTA)

Chi era in sala domenica lo ha definito «uno spettacolo travolgente ed entusiasmante». Quello andato in scena lo scorso fine settimana al teatro stabile della Galleria Toledo di Napoli ha riscosso un gran successo di pubblico: si tratta di ‘SanTarantella, la danza è la nostra preghiera’, una creazione franco-italiana con Mattia Doto per la regia di Tullia Conte. La regista, di origini cilentane e da anni trapiantata a Parigi, per il suo spettacolo si è ispirata alla storia di Franco Mastrogiovanni, morto a Vallo nel 2009 dopo 80 ore di contenzione obbligatoria. 

Tullia, raccontaci che emozione è stata portare in scena SanTarantella. Lavoro su questo spettacolo da tanti anni e portarlo in scena come selezione di Stazioni d’Emergenza é un ottimo risultato. Per me il teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo é un luogo importantissimo, infatti ero seduta in quella platea a guardare “La Svergognata” (di e con Anita Mosca) quando ho deciso dentro di me che il teatro é la mia strada. Salire su quel palco dopo anni da quella decisione é stata un’emozione enorme. Inoltre, abbiamo avuto una risposta di pubblico che neanche noi ci aspettavamo! L’emozione é stata forte grazie a tutta la compagnia composta da danzatori e danzatrici abili e professionali, oltre che delle persone meravigliose: lavorare con loro é un grande onore e siamo in grado insieme di muovere un’energia potente, siamo 13 tra italiani e francesi. In questo debutto con noi c’era anche il curatore del suono, Silvio Marino, un artista poliedrico che ha arricchito sanTarantella con le sue visioni sonore e Chiara Falanga che ha messo in atto in maniera impeccabile il disegno luci realizzato da Olivier Courtemanche (che é anche uno dei danzatori).

Uno spettacolo ispirato al caso di Franco Mastrogiovanni, perché? SanTarantella è un esperimento unico nel suo genere, le coreografie dello spettacolo sono costruite solo sulla base del codice della tarantella, una danza millenaria, una ricchezza della nostra cultura che affonda la memoria nel passato archetipico dei popoli del mediterraneo. Inoltre lo spettacolo non racconta di miti greci oppure di donne tarantate, com’è costume fare quando ci si riferisce artisticamente alla danza della tarantella (o della “taranta”), bensì descrive l’ambiente sociale che si è creato intorno alla rivalutazione della musica e della danza popolare italiana, cominciata negli anni 70 ed oggi divenuta parte della cultura massificata. Questo fenomeno chiamato appunto “taranta” è il motore di un mondo parallelo, con sue proprie credenze, convinzioni, divisioni sociali. Come insegnante di tarantella faccio parte anche io di questo mondo, ma come esperta di antropologia l’ho osservato in maniera partecipata, ed ho scelto di raccontarlo nello spettacolo che ho scritto: la tarantella contemporanea che appassiona la gente al punto da essere diventata come una religione. Nello spettacolo gli adepti sono rinchiusi in un manicomio, perchè, come recita il referto, sono “pericolosi per se stessi e limitatamente anche per gli altri”, in quanto si interessano solo alla danza della tarantella e non vogliono sentir parlare d’altro. L’astuzia scenica, di raccontare il mondo segreto di questi “santarantellari”, serve a mostrare al pubblico in maniera ironica quali mondi siamo in grado di costruire intorno ad un’idea fissa e quanto possa essere pericolosa un’idea che si trasforma in un dogma. L’istinto dello spettacolo è fortemente antipsichiatrico: anche la scienza cade spesso nel dogma, nel paradosso. Il motore di queste riflessioni che mi hanno condotto alla scrittura dello spettacolo è stata la morte di Francesco Mastrogiovanni, ucciso nel reparto psichiatrico di Vallo della Lucania. (www.giustiziaperfranco.it) Francesco Mastrogiovanni aveva 58 anni e faceva il maestro elementare. In una mattina di fine luglio del 2009, un vasto quanto inspiegabile spiegamento di forze dell’ordine è andato a prelevarlo, letteralmente, nelle acque della costiera del Cilento (Salerno) e lo ha portato al centro di salute mentale dell’ospedale San Luca, a Vallo della Lucania, per un trattamento sanitario obbligatorio. Novantaquattro ore dopo, la mattina del 4 agosto 2009, Mastrogiovanni è stato dichiarato morto. Durante il ricovero è stato legato mani e piedi a un letto senza un attimo di libertà, mangiando una sola volta all’atto del ricovero e assorbendo poco più di un litro di liquidi da una flebo. La sua dieta per tre giorni e mezzo sono stati i medicinali (En, Valium, Farganesse, Triniton, Entumin) che dovevano sedarlo. Sedarlo rispetto a che cosa non è chiaro, visto che Franco non aveva manifestato alcuna forma di aggressività. La legge prevede infatti la possibilità di applicare misure di contenzione nel caso in cui i pazienti siano da considerarsi pericolosi. Nonostante Franco fosse stato sedato per errore ben due volte (cosa che renderebbe inoffensivo chiunque) il protocollo è stato applicato lo stesso, ed egli è stato legato al letto per ben quattro giorni (anche se gli sono stati immobilizzati tutti gli arti e questo è contro la legge) senza mai essere nutrito o dissetato, dunque è morto dopo 90 ore di agonia che io, come tanti italiani, ho potuto vedere nell’agghiacciante video ripreso dalle telecamere del reparto e reso noto dai familiari per cercare di avere giustizia rispetto a questa vicenda che oltre ad essere un esempio di malasanità, racconta la perdita di ogni umanità. La morte assurda di Franco l’ho vista anche negli occhi dei suoi familiari, persone belle ed umane che hanno reagito a tutto questo orrore con dignità. Ad ottobre si è concluso il processo in primo grado per la morte di franco, dove il giudice Elisabetta Garzo ha condannato i medici per sequestro di persona, omicidio colposo e falso in cartella, ha invece assolto tutti gli infermieri. A Novembre partirà il processo in appello, dato che secondo la procura gli infermieri non hanno dimostrato di avere cura dei malati e di costringerli in condizioni di scarsa igiene. La visione che ho del teatro è fortemente politica, nel senso che lo credo un mezzo utile per mettere in luce le vicende umane su cui dobbiamo riflettere, e in quest’ottica tutta la compagnia suDanzare ha deciso di dedicare lo spettacolo a Franco, per aiutare un passaggio di informazioni che diventa macchinoso quando ci si scontra con un sistema che vuole solo autocelebrarsi. Inoltre la tarantella, come musica utilizzata nella cura dei tarantati, era considerata un antidoto contro il male di vivere, il cattivo passato.

Quando è nata la tua passione per la tarantella? Ho cominciato ad appassionarmi alla tarantella quando avevo 20 anni, il teatro e l’antropologia, che fanno parte del mio percorso di studi, mi hanno aiutato a decodificare uno dei codici di movimento più antichi dell’umanità. Questo approccio mi è stato possibile grazie all’incontro con Eugenio Barba, che ha fondato il metodo dell’antropologia teatrale, lo studio dell’uomo in fase di rappresentazione organizzata. In questo senso la tarantella si rivela importante, a mio avviso, per l’utilizzo del corpo, per “tenerlo in allenamento” verso la presenza e l’attenzione, doti fondamentali per chi vuole approcciare al mestiere dell’attore ma anche necessarie alla vita di tutti i giorni. Questo é l’approccio didattico che ho costruito, che permette a chiunque di avvicinarsi a queste danze, senza necessità di avere precedenti esperienze. Sono passati ormai 13 anni, e la mia attenzione oltre a dirigersi verso la pedagogia delle danze tradizionali, si orienta verso la messa in scena di un nuovo linguaggio, che abbia come “base” il codice della tarantella ma che sia passibile di raccontare le storie delle donne e degli uomini di oggi. Nel 2009 ho creato i primi spettacoli in un teatro in Italia, poi mi sono spostata in Francia, a Parigi. Questo mi ha portato a gettare le basi di un”teatro della tarantella” i cui frutti sono nella compagnia suDanzare, che dirigo dal 2012 e per la quale scrivo spettacoli e coreografie. – A quali nuovi progetti stai lavorando? Lo spettacolo é in lizza per vari festival in Europa ed in Italia, per il momento la compagnia é concentrata su questo. Tuttavia quest’anno mi piacerebbe realizzare anche un altro spettacolo che ho scritto che si chiama “Ex-Volto”, parla di donne e uomini che si ritoccano con il botox, un aspetto angosciante della nostra società. Per quanto riguarda le danze popolari suDanzare, che oltre ad essere una compagnia di Teatro danza é anche una scuola di Danza Popolare Contemporanea (con sede a Napoli e Parigi) apre i battenti a Parigi il 28 settembre, invece a Napoli alcune attività sono già partite con la danzatrice ed insegnante Angela Esposito, che tiene numerosi corsi in tutta la campania. Quest’anno inauguriamo anche il primo Laboratorio Stabile di Tarantella Cilentana.

Hai in serbo qualcosa per il Cilento? Dal precedente anno scolastico (2013-2014), la scuola suDanzare, ha lanciato dei progetti residenziali nel sud Italia per lo studio e la condivisione delle danze e delle musiche proprie di queste zone. L’anno scorso siamo stati con i numerossisimi partecipanti da tutta europa e dall’Italia a Napoli e poi in Salento, dove abbiamo collaborato con l’Ass. SoniBoni. Quest’anno aggiungiamo un’altra tappa in Cilento, nello splendido scenario di Morigerati, un paese che é davvero un gioiello, grazie anche alla gestione illuminata del sindaco Cono D’Elia. Il workshop, sarà aperto ad allievi francofoni e italiani ; ha come scopo la condivisione del ricco patrimonio immateriale delle danze del sud Italia, con particolare attenzione alla tarantella cilentana. La condivisione di un’esperienza basata sullo scambio dell’arte segreta della danza contribuisce a creare nei partecipati la scoperta di un universo culturale. Durante la residenza si svolgeranno stage intensivi di danze popolari del sud Italia e attività ricreative, didattiche e performative a sfondo culturale, tra cui incontri dedicati alla Dieta Mediterranea, escursioni, visite guidate e concerti. La residenza è un’occasione di studio e di incontro con la cultura locale e rappresenta un’opportunità di condivisione tra i danzatori appassionati di danze popolari, oltre a costituire un momento unico di aggregazione in scenari suggestivi facenti parte della cultura del sud d’Italia.

Il giornale del Cilento ringrazia Toni Isabella per la preziosa collaborazione

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