Cilento: Pinne, Penne, Piume e Code. Note a margine di un disegno di Milo Manara pensato per la scenografia dei Viaggi di Ulisse di Nicola Piovani

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Cilento: Pinne, Penne, Piume e Code. Note a margine di un disegno di Milo Manara pensato per la scenografia dei Viaggi di Ulisse di Nicola Piovani

L’estate sembra ai più un tempo propizio per rispolverare miti e tradizioni greche … e non si comprende bene il perché. Rappresentazioni teatrali, rievocazioni storiche, spettacoli musicali, non riescono proprio ad evitare di banalizzare i testi antichi. Eppure la gente comune li ama questi testi, li conosce e, stupore, li studia; e così si scopre, un po’ per caso, un po’ no, che l’ultima mutazione estiva riguarda le Sirene di Ulisse, snaturate nella forma e, di conseguenza, nella sostanza. Proviamo allora a metter un po’ di ordine ed a cercare nella secolare trasmissione di memorie, la Sirena che ha ispirato Manara.

Secondo la tradizione più nota, le Sirene sono figlie di Acheloo, una tra le più antiche divinità greche, e sarebbero nate da tre gocce del suo sangue, cadute a terra quando, durante la lotta per il possesso della bella Deianira, Eracle spezza al dio una delle sue corna. Nascono in Grecia, ma le tradizioni che le riguardano sono estremamente confuse e discordanti tra loro ed anche il loro numero non è certo. Omero le descrive per primo legandole alle peripezie di Ulisse, o per coloro che sono innamorati del mondo greco, Odisseo, raccontandone un mito che sarà spesso ripreso nella tradizione figurativa e letteraria e che le raffigura in veste di uccelli, appollaiate sul loro scoglio nel tentativo, non riuscito, di ammaliare l’eroe greco.
Nell’area Occidentale europea, questo mito ha una sua storia singolare. Nessun altro mostro è stato soggetto, nel corso del tempo e nel medesimo ambito culturale, ad una trasformazione così complessa come quello della Sirena, passata da immagine dell’anima umana, a demone mortale a forma di uccello, a seducente ninfa dalla coda di pesce.
All’inizio del tutto umana, sembra che la sua parziale trasformazione in uccello sia conseguente ad un evento, che varia però a seconda degli autori. Per Ovidio, le Sirene erano compagne di giochi di Persefone, alla quale stavano insieme anche quando viene rapita dal tenebroso Ade; c’è chi afferma che avevano chiesto agli dei di diventare uccelli per poter cercare la loro compagna per terra e per mare, e chi le vuole uccelli perchè punite da Demetra per non aver cercato di impedire il ratto della figlia; o ancora, punite da Afrodite per aver disprezzato le gioie dell’amore. Di certo c’è che avevano le ali e che avevano poi perso la capacità di volare, in una gara di canto contro le Muse; queste ultime, dopo averle vinte, irritate dal loro orgoglio, le avrebbero ‘spennate’.

Questa confusa congerie di miti trova la sua espressione più compiuta in  due grandi epopee della mitologia greca: il viaggio degli Argonauti ed appunto, quello di Ulisse. 
Nell’Odissea (XII) Ulisse, partito dall’isola di Circe, per sottrarsi alla seduzione perfida delle Sirene, contro le quali era stato messo in guardia dalla maga, si era fatto legare all’albero maestro della nave dai suoi marinai, ai quali aveva preso la precauzione di coprire le orecchie con la cera. Aveva potuto cosi ascoltare il canto delle Sirene senza pericolo e aveva potuto conoscere le loro irresistibili armi seduttive, basate non sul sesso (come accade nella versione ittica)  ma sull’intelletto, sulle lusinghe di una conoscenza senza limiti, che il loro letale canto offriva. Anche Ulisse non sarebbe riuscito a scampare all’irresistibile richiamo, se gli stretti nodi che bloccavano il suo corpo all’albero non gli avessero impedito la lusinga di un pericolo contro il quale il suo intelletto sempre pronto, avrebbe certo smaniato di naufragare voluttuosamente.
Cosa accade, allora, se una tradizione non è correttamente presentata; che quello che non si recupera dalla raffigurazione più recente della Sirena è il tema, tutt’altro che secondario, della conoscenza, evidenziato tanto nelle parole che Ulisse riesce ad ascoltare, quanto nella loro presunta discendenza da una delle Muse. Una conoscenza a carattere profetico che è costantemente attribuita alla loro parola; un sapere che viene comunicato attraverso la musica ed il canto e che induce a pensare che si tratti di una conoscenza segreta, iniziatica, aperta a pochi.

Benché Plinio il Vecchio, storico romano vissuto nel I secolo d.C. ammettesse l’esistenza delle Sirene nella versione ‘pisciforme’, l’accostamento del nome Sirena alla descrizione di una donna pesce è attestato esplicitamente e in maniera inequivocabile solo verso l’VIII-IX secolo, nel Liber Monstrorum. E non sembra tanto strano che il suo autore abbia attribuito una forma errata (da un punto di vista della tradizione precedente) al nome Sirena ma che tale errore, o invenzione voluta, o creazione, abbia avuto ragione di una tradizione millenaria e si sia imposto all’immaginario comune dell’uomo. Credo quindi che la Sirena di Manara, sia quella di San Bernardo di Clairvaux: ”La donna è lo strumento di Satana. Questa ti incanta con allettamenti mondani e ti indica la scorciatoia del diavolo… È simile alla sirena marina; bellissima, dall’ombelico in su ha l’aspetto di una vergine formosa; dall’ombelico in giù è simile ad un pesce… canta dolcemente. Come la sirena inganna i marinai con dolci melodie, così la donna che vive nel mondo, con i suoi inganni trascina alla perdizione.”
A conclusione di questo breve viaggio nel tempo e parafrasando un grande poeta del nostro secolo, quando si frequentano i campi del passato non bisogna guardare solo alla maestosità degli alberi ma anche al vigore delle loro, neppure tanto nascoste, radici.

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