La guerra di Spartaco, una corsa per la libertà fermata tra Giungano e il Sele

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La guerra di Spartaco, una corsa per la libertà fermata tra Giungano e il Sele

L’antichità greco romana è solo apparentemente estranea alla nostra epoca se solo guardiamo alle cronache relative al suo zoccolo duro schiavista, alla brutalità della sua etica bellicosa, alla ferocia dei suoi sanguinari giochi di gladiatori. La schiavitù nel mondo antico è una necessità, la premessa ineluttabile e redditizia – in mancanza dell’industria – di una primitiva globalizzazione imperiale. E, quando si parla di Spartaco, l’icona più famosa dell’antica Capua, tra le maglie delle romanzate vicende che appassionano il pubblico, non si può non leggere e raccontare il nucleo di uno storico conflitto tra classi sociali e il volto di uno sconfitto.

Nelle Storie di Sallustio (libri III e IV) praticamente scomparsi, era narrato il resoconto più completo della rivolta di Spartaco, avvenuta nel I secolo della nostra era. Molti studiosi di storia romana si sono cimentati nel tentativo di colmare questa lacuna facendo ricorso ad altre cronache e alle citazioni di autori dell’antichità, poche in verità, alla ricerca di dettagli sulla storia militare, economica, sociale e politica della Roma antica che potesse gettare su quella leggendaria rivolta di schiavi, e soprattutto sul loro celebre capo, una più ampia luce. Il testo che certo meglio descrive modi e tempi della rivolta e le intenzioni del leggendario eroe trace è il saggio di Aldo Schiavone, Spartaco, le armi e l’ uomo. Il quadro da lui proposto rende scrupolosamente conto di tutte queste indagini per proporre un ritratto estremamente lucido dell’uomo straordinario che tenne testa per quasi due anni alla potenza romana. Il capo amato e indiscusso di una ribellione che non fu capace di diventare rivoluzione. La cronaca della rivolta ha così tante lacune, che diventa difficile impegnarsi ad accertare quanto più possibile la verità sulle vicende che hanno legato il nome di Spartaco alle lotte per la libertà.

Il ritratto che le fonti romane delineano di Spartaco – protagonista fuori dal comune di una inaudita insurrezione di schiavi, ma persa a priori – è quello di uno straordinario stratega che riesce a organizzare il suo esercito come una legione e che con abili, astute ed efficaci sortite riesce a tenere sotto scacco e ridicolizzare, il più potente esercito del mondo allora conosciuto. Guerriero della Tracia, schiavo gladiatore, legato a una sacerdotessa che morirà combattendo con lui, poi capo della guerra dichiarata contro Roma, Spartaco è un profeta della futura rivoluzione proletaria – in senso marxista – e vittima fatale dell’organizzazione del lavoro nel I secolo, di un disegno liberatore, troppo utopico, troppo presto azzardato. Un guerriero bello, astuto e geniale – gli storici romani sembrano affascinati dalla sua figura – che volle restituire, con eccessivo anticipo, la loro identità e la loro dignità agli iloti di Roma. Che pretendeva dal suo esercito ordine, rigore, disciplina più e meglio di un generale romano, che ambiva ad attaccare la grande Roma e che, nell’attesa dell’occasione utile a colpire il cuore pulsante del potere, trascina 60.000 esseri umani organizzati come milizie regolari, su e giù per l’Italia per quasi due anni. L’unico eroe che sia mai riuscito ad attraversare secoli e secoli pur non avendo uno scrittore che lo celebrasse. Di lui non abbiamo che pochissime informazioni, non si conosce il suo volto, non fu mai identificato il suo cadavere.

La piana pestana è forse il campo di battaglia, ancora non ben identificato, nel quale Spartaco e le sue truppe furono massacrate nell’ anno 71 della nostra era dall’esercito di Crasso, l’uomo più ricco di Roma che paga con il sangue dei rivoluzionari il suo consolato. La loro leggendaria rivolta, iniziata da una razzia di armi e utensili nelle buie cucine della scuola gladatoria di Santa Maria Capua Vetere, diventerà una tale umiliante sconfitta per i romani che neppure l’ultima crudeltà riuscirà a placarli per secoli: i 6000 esseri umani crocifissi lungo la via Appia.

La battaglia finale risparmiò le vite di quei combattenti solo per lavare con l’umiliazione dei loro cadaveri lasciati a marcire al sole, il peso di quell’affronto. Monito di tutti, viandanti, soldati e cittadini sarà l’insopportabile puzza che saranno costretti a patire tutti coloro che nei mesi successivi alla sconfitta di Spartaco, percorreranno la strada che porta da Capua a Roma. Una sorta di macabro e perenne avvertimento a non riprovarci mai più.

A ricordare l’uomo, lo schiavo, il guerriero: Peppe Barile e Laura del Verme nell’arena dell’anfiteatro campano di Santa Maria Capua Vetere, 26 luglio ore 22 e in replica alle 23.30.

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