Furti e riciclaggio, 18 arresti nel Cilento

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Furti e riciclaggio, 18 arresti nel Cilento

Dalle prime ore di questa mattina, i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Salerno stanno eseguendo un provvedimento cautelare, emesso dal gip di Salerno su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 25 persone indagate per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti, utilizzo indebito di carte di credito e riciclaggio degli illeciti proventi nonché di minacce aggravate dal metodo mafioso. Al centro delle indagini le attività criminali di appartenenti a una comunità Rom che, da numerosi anni, vive ad Agropoli.

L’indagine ha documentato come il gruppo fosse dedito all’esecuzione di furti con destrezza ai danni di gioiellerie poste su tutto il territorio nazionale, furti all’interno di autovetture e all’utilizzo indebito delle carte di credito rubate. Le investigazioni hanno accertato anche una serie di gravi minacce nei confronti sia di appartenenti alle forze dell’ordine sia di amministratori pubblici della cittadina cilentana. I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà, alle ore 10.00 in procura a Salerno.

I particolari dell’inchiesta
Due famiglie rom, i Marotta e i Cesarulo, tenevano sotto scacco Agropoli, cittadina a vocazione turistica nel Cilento. E’ lo scenario dell’inchiesta spiegata in procura ai giornalisti. Sono 11 gli indagati in carcere, mentre 7 hanno avuto il beneficio dei domiciliari e altri 7 sono destinatari dell’obbligo di dimora. Devono rispondere a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro il patrimonio e la persona, aggravati dall’articolo 7, di violenza privata ed estorsione agendo con modalità mafiose.

Intercettazioni, appostamenti, testimonianze raccolte mostrano come le due famiglie di fatto controllassero molte delle attività della cittadina cilentana facendo leva anche su un potere di intimidazione tale da incidere sul tessuto sociale locale. I gruppi avevano fatto pressione sul coordinatore unico del cantiere di Agropoli della ditta incaricata del servizio di raccolta rifiuti, in modo da fare assumere persone da loro segnalate come stagionali, evitare loro mansioni ‘sgradevoli’ e sanzioni per inadempimenti nel loro lavoro. Inoltre, ‘delegazioni’ delle due famiglie arrivavano fin dentro le stanze del sindaco senza appuntamento per ‘trattare’ il caso di appartamenti confiscati ed evitare che fossero adibiti a funzioni sociali, oppure per chiedere posti di lavoro a tempo indeterminato. Le minacce erano utilizzate persino contro i carabinieri perchè ‘alleggerissero’ i controlli su di loro.

«Marescià… scrivete sempre, scrivete sempre… ma lo sapete che la vita è breve… si muore… cercate di fare il bravo». Questa, ad esempio, è soltanto una delle minacce che o’ Capone, uno degli affiliati del clan Marotta – meglio noti come gli zingari – ha rivolto ad un sottufficiale della compagnia di Agropoli che indagava su di loro. Minacce reiterate ai carabinieri e anche al sindaco Adamo Coppola. Minacce allo Stato, in pratica. Dichiarazioni di «guerra», sottolineavano gli anziani del gruppo ai militari dell’Arma, avvisandoli che stavano facendo il possibile per «tenere calmi i più giovani». Minacce che, in una lettera del primo cittadino ai carabinieri, dopo che un gruppo dei Marotta-Cesarullo aveva sfondato la porta del suo ufficio, rischiavano di «mettere a rischio e la sicurezza e l’ordine pubblico in città». E tutto questo per impedire che l’amministrazione comunale procedesse con gli sgomberi nelle ville di loro proprietà oggetto di confisca a seguito di una serie di indagini patrimoniali svolte nei loro confronti dal Gico della guardia di finanza.

Faldoni e faldoni di prove. Carte, file audio ascoltati e riascoltati dagli inquirenti. Un clima che era diventato troppo «pesante» per la ‘legge’. Ma l’inchiesta non si chiude con gli arresti. Ci sarebbero ancora particolari da confermare e piste da verificare.

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