Il progetto fotografico di Amedeo Petrocchi dal Cilento alla Basilicata per il festival «La Luna e i Calanchi»

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Il progetto fotografico di Amedeo Petrocchi dal Cilento alla Basilicata per il festival «La Luna e i Calanchi»

Al famoso festival della paesologia di Aliano «La Luna e i Calanchi», in provincia di Matera, è stato ospitato anche un fotografo cilentano. Si tratta di Amedeo Petrocchi, residente a Orria e studente universitario a Perugia. L’installazione del progetto fotografico dal titolo «La solitudine di un paese», realizzato in collaborazione con Sabrina Maio, autrice dei testi, è stato esposto dal 22 al 27 agosto. Il festival ideato e concepito da Franco Arminio, il poeta scrittore che da anni attraversa e racconta i paesi dell’Italia interna, si è svolto nel paese descritto da Carlo Levi nel noto libro ‘Cristo si è fermato a Eboli’. La manifestazione ha visto la presenza di innumerevoli scrittori, artisti, fotografi, attori, poeti e politici riunti con l’intento di concepire una nuova visione di rilancio e riattivazione comunitaria delle aree interne dell’Italia.

«La solitudine di un paese – racconta Amedeo Petrocchi –  è un lavoro costituito da una serie di immagini ruvide e stralci di frasi ispirate a corredo, narrazione visiva e narrazione scritta. I ritratti sono stati realizzati principalmente in strada, le persone sono state incontrate per caso in un contesto architettonico-rurale tipico ma anonimo, dove ogni individuo ripreso sembra quasi fondersi con ciò che lo circonda, case, pietre, mattoni, come in una stessa espressione di una popolazione, prevalentemente anziana, che r-esiste. Il reportage – spiega il fotografo cilentano – racconta la dimensione malinconica e di abbandono dei piccoli comuni, una condizione diffusa in molte zone rurali dell’Italia dei margini, dell’Italia del sud. Volti-anime che non richiedono commenti – prosegue -, che non conoscono età, fissati in un’immagine nel loro contesto, in un gioco di luci ed ombre, con un’inquadratura prospettica che tende a circoscriverli ed a raccontarne il dramma. Colti nel loro immobilismo solitario, pur quando sono in movimento, trafitti da un inesorabile fascio di luce, o in una dimensione corale in una delle tante attività del rituale umano di un paese. Le parole a commento, di Sabrina Maio – afferma – non lasciano altrettanto spazio ad ulteriori emotività. Immagini di una narrazione scarna e priva di totale retorica che zoomano su un volto così come un elemento inanimato con un gioco di luce mai casuale, anzi atteso sapientemente. Un paese universalmente inteso, in una sua dimensione esistenziale», conclude l’autore del progetto.

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