La morte di Angelo Vassallo è una ferita grande sul cuore del Cilento: 11 anni di silenzi

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La morte di Angelo Vassallo è una ferita grande sul cuore del Cilento: 11 anni di silenzi

Le indagini chiuse, poi riaperte, poi sospese e poi non si sa. I chilometri in giro per l’Italia di Dario e Massimo. I libri, il segretario Gerardo Spira e i suoi racconti, i silenzi lunghi, vergognosamente lunghi e devastanti. La politica che non si interessa dell’accaduto. Il 5 settembre 2010 hanno ucciso Angelo Vassallo, un pezzo di Cilento e lo Stato italiano. Chissà se chi ha premuto quel grilletto era pienamente consapevole di commettere tre omicidi con nove colpi di pistola, in una notte sola.

Le piste, i dubbi, le inchieste giornalistiche (le uniche che hanno portato a qualcosa), quella pistola Baby Tanfoglio 9×21. L’impegno logorante ed estremo dei fratelli e della Fondazione. Pollica sorniona e arroccata sulla costa nord del Cilento. Un paese bomboniera che esternamente fa invidia al mondo, dentro, però, si porta il peso infinito di aver perso il suo pescatore più dolce, quello che con la voce bassa e senza imbrogli, otteneva risultati per la sua comunità. Quello che dall’ultimo piano del Municipio che ha governato in modo esemplare, ha trasformato quell’angolo di Cilento nel paradiso che è oggi.

Era forse troppo giusto per restare e allora quel paradiso è stato costretto a raggiungerlo. Ma da lì – ancora oggi – non riesce a dirci chi l’ha trucidato. Il delitto non è stato partorito da mani inesperte. Chi quella notte si è avvicinato all’automobile di Angelo, lo ha fatto con professionalità e rabbia. Tanta rabbia. Angelo è morto praticamente subito. Ma i colpi esplosi sono nove. All’inizio, è vero, per la legge erano addirittura meno. Sul luogo del delitto è sfuggito qualche particolare agli inquirenti.

E qualche verità è venuta fuori man mano, con il passare degli anni. Oggi ne sono ben undici. Undici anni e ancora c’è gente che non si è arresa. Per fortuna. E poi è nato Angelo Vassallo, un altro, piccolo, bello. E’ nato e dentro agli occhi ha il mare di Acciaroli. E’ il figlio di Antonio, figlio del sindaco-pescatore. Porta sul groppone un peso enorme ma, adesso, è troppo piccolo per interessarsi delle cose difficili di questo mondo.

Chi potrebbe farlo, invece, si scansa. Il movente è ancora oscuro. Qualcuno immagina, qualcun altro lascia intendere poche cose. Ma il killer e i presunti mandanti dell’omicidio di Angelo, sono ancora a piede libero. Sul porto di Acciaroli, oggi, è il 5 settembre. Non una data come le altre. Questa sera c’è la Festa della Speranza. Una fiamma tenuta viva dai ricordi, dai racconti, dagli oggetti del sindaco-pescatore, dalla sua barca. Andava per mare, pescava il pesce azzurro e anche la plastica. Le buone pratiche sono rimaste, come le ombre delle nuvole.

Che anche quando il cielo si schiarisce, restano. Le denunce dei carabinieri a Dario, il sequestro immotivato dei filmati della video sorveglianza il giorno dopo il delitto, l’inquilino in vacanza che a pochi passi dal luogo del delitto, mentre era in casa, non avrebbe udito gli spari. Attenzione signori, gli spari, non lo sparo. Parliamo di nove colpi, nove botte, nove tuoni nel cielo del Cilento. Il 5 settembre, poi, che non è il 15 agosto, lungo una stradina tranquilla, quando fuori fa ancora caldo e si dorme con le finestre aperte. E poi le telecamere nascoste degli inviati de ‘Le Iene’ che svelano particolari mai venuti fuori prima. Le storie che non reggono, le contraddizioni, le occhiatacce sul porto qualche sera prima e quel segreto di Angelo che voleva rivelare a qualcuno ma non ha fatto in tempo.

Cosa aveva scoperto? Perchè è stato ucciso? Chi ha esploso i colpi? Quanto tempo prima è stato organizzato il piano? Cosa si è portato via di così grande Angelo? I punti interrogativi assalgono i cittadini puliti, i cilentani che amano ancora il sapore del fico bianco e della lentezza, quelle persone che riconoscono la bellezza dei muri a secco e delle mulattiere, i contadini, i pescatori, le nonne che preparano la pasta fatta in casa e le alici imbottite.

I punti interrogativi rimbombano nei sogni di Dario, fratello di Angelo. Migliaia di chilometri in giro per lo Stivale alla ricerca di quella che lui definisce una ‘verità negata’. L’esempio di Dario dovrebbe essere portato nelle scuole, affisso su quei grandi cartelloni pubblicitari delle metropoli al posto di quelle squallide propagande elettorali. Quelli non sono colleghi di Angelo e non saranno mai in grado di emularlo. Eccezioni a parte!

Dal 5 settembre 2010 – impossibile sostenere il contrario – qualcosa è inesorabilmente cambiata per sempre. Dal 5 settembre 2010 il Cilento ha perso un pezzo della sua corazza e si è rivelato violabile, debole. La bolla di vetro si è rotta, l’incantesimo è svanito. Undici anno dopo siamo qui a ripeterci le stesse cose del primo anniversario. Identiche e noiose. Brancoliamo nel buio, stanchi, illuminati per fortuna solo da una luce: l’esempio di Angelo Vassallo, prima pescatore poi sindaco di Pollica, perchè nella vita non contano le cravatte e i titoli che precedono i nomi, conta il solco che lasci, e quello di Angelo non potrà mai essere cancellato. Mai.

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