Intervista a Giuseppe Cilento, docente nel liceo scientifico statale L. da Vinci di Vallo della Lucania

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Intervista a Giuseppe Cilento, docente nel liceo scientifico statale L. da Vinci di Vallo della Lucania

D: In questa società che sembra essere divenuta più violenta già da parte di giovanissimi, più superficiale, e con obiettivi molto materialistici, che funzione ha la scuola?
R: La società italiana non richiede alla scuola prestazioni più idonee ai tempi attuali, la scuola non stimola la società a migliorarsi. Il sistema tende a raggiungere il suo equilibrio verso la stagnazione. La grande rivoluzione scientifica del ‘900 ha insegnato che, se si vuole insegnare la vita, si dovrebbe provare a comprendere oltre che le singole cose (metodo riduzionistico cartesiano), anche le relazioni tra le cose (anche se più correttamente occorrerebbe parlare non di cose statiche, ma di processi, come ci insegna la fisica di W. Hejsemberg o di N. Bohr o, ancora, di F. Capra). Così il nuovo metodo scientifico ha trasformato il modo di percepire il mondo, ma aspetta ancora di produrre conseguenze sui saperi scolastici e sulla cultura italiana.
 
D: Troppo spesso sento insegnanti lamentarsi degli alunni e della difficoltà di insegnare a soggetti così distratti, così poco interessati, attribuendone la colpa ai genitori. Io faccio sempre presente che divenire genitore è molto semplice ed istintivo, ma non prevede sempre delle qualità idonee, né preparazione specifica, né ricompensa finanziaria!!! In altre parole sono gli insegnanti che dovrebbero essere preparati ed avere il compito (pur remunerato, anche se in modo non adeguato!) di formazione dei giovanissimi e giovani. Lei cosa ne pensa?
R: E’ la scuola che dovrebbe anzitutto educare al comprendere, cioè insegnare ad accrescere la curiosità, sollevare problemi, stimolare  osservazioni partecipate, esprimere domande appropriate, formulare ipotesi, condurre esperimenti pertinenti,  superare la fase infantile dell’intuizione, studiare e progettare in maniera sistemica. Bisognerebbe, perciò, passare all’istruzione formale solo dopo aver suscitato l’interesse alla comprensione. Insomma nell’era della rivoluzione informatica, in cui i saperi diventano globalizzati e pervasivi come non mai, la scuola italiana non può reagire chiudendosi.

D: Condivide quindi che ogni insegnante ha gli alunni che merita!!! Suo il compito di suscitare l’interesse, di capire ciascuno e quindi avviarlo nel campo a lui più idoneo!
R: Secondo H. Gardner  “Gli insegnanti dovrebbero passar meno tempo a classificare gli studenti e più tempo ad aiutarli ad identificare e coltivare le loro competenze e i loro talenti naturali. E ancora: “Qualsiasi concetto è degno di essere insegnato in almeno cinque modi diversi (approcci narrativo, logico-quantitativo, filosofico-concettuale, estetico, esperienziale), che ricalcano la pluralità delle intelligenze”. Certo necessita una riorganizzazione dell’insegnamento e più tempo, si dovrebbe giungere a trentacinque ore settimanali. Einstein consigliava: ”La maggior parte degli insegnanti perde tempo a fare domande che mirano a scoprire ciò che l’alunno non sa, mentre la vera arte del fare domande mira a scoprire ciò che l’alunno sa o che è capace di sapere”.
Spesso i cosiddetti alunni da bocciare hanno uno stile di apprendimento non coerente con una impostazione nozionistica dell’insegnamento (auditiva o visiva). Un alunno irrequieto potrebbe essere un cinestesico, pronto a smanettare in maniera strepitosa su un computer, perché predilige un approccio al sapere di tipo esperienziale.

D: Il problema quindi sono gli insegnanti?
R: Già Quintiliano nell’Institutio Oratoria affermava che occorreva innanzitutto formare insegnanti colti e consapevoli.
Così scriveva: “…. Sui pedagoghi (aggiungerei) soprattutto questo: che o siano forniti di una cultura ampia, che vorrei fosse la prima preoccupazione, o siano consapevoli di non essere colti. Non c’è niente di peggio di coloro che, andati poco più in là delle conoscenze più elementari, abbiano messo addosso la persuasione sbagliata di possedere una cultura. Infatti, non solo si indignano a dover rinunciare alla funzione di ammaestrare, ma per giunta, come per un preteso diritto di superiorità, in base al quale questo genere di individui si gonfia di boria, dispotici e nel contempo inferociti si accaniscono ad insegnare la loro stupidità…”.
Secondo Tacito, invece, la decadenza delle scuole di retorica non era questione di buoni insegnanti, bensì un problema politico, da connettere alla mancanza di democrazia e alla decadenza della società romana, dominata dalla famiglia imperiale Giulio-Claudia.
Duemila anni fa, una discussione sulla scuola era sicuramente più avanzata di quella che oggi si sta facendo in Italia, che si richiama alla gerarchia, alla severità, al voto in condotta (che, tra l’altro, favorisce, facendo media, chi studia meno materie), che percepisce gli studenti come una minaccia, come soggetti da domare, non come persone da mettere in contatto in maniera criticamente interessata con le smisurate banche del sapere contemporanee.

D: Tuttavia gli insegnanti sono spesso gli alunni di un tempo recente, come risolvere questo serpente che si morde la coda, ovvero questo ciclo ripetitivo così, oserei dire, “perverso”?
R: Nella società postindustriale si modificano i rapporti gerarchici. In un approccio sistemico al sapere, per avere successo, insegnante e allievo dovrebbero insegnare e imparare insieme. Non si costruiscono  strutture verticali, ma orizzontali, fondate sulla ricerca costante, sul lavoro di squadra e lo scambio di informazioni, sulla creatività individuale e collettiva, sulla crescita dell’autostima, sul potenziamento dell’intelligenza emotiva, sulla capacità di cercare alternative, stabilire priorità, fissare obiettivi, gestire il proprio tempo. Incomprensibilmente una serie di eccellenti ed aggiornate tecniche didattiche e motivazionali sono largamente impiegate nel mondo delle imprese, ma non riescono a penetrare affatto nel mondo scolastico.

D: E’ d’accordo che la creatività, come valore positivo che accompagna ogni conoscenza, viene sottovalutata ed invece esercitata solo in specifici campi per plagiare, per pubblicità per interessi economici o di potere?
R: Infatti troppo spesso la creatività è messa al bando dalla scuola, per far posto solo alla rigorosa ripetitività della prassi logico-analitica, per cui i più abbandonano i banchi ritenendo che la creatività sia una dote misteriosa, posseduta da un numero ristretto ed eletto di individui e non, invece, la forma più costruttiva del pensiero umano, semplicemente una delle modalità con cui esso si esprime.

D: Concludiamo per questo primo incontro, chiedendole se la scuola dovrebbe avere delle impostazioni in parte diversificate, secondo quale è il territorio nel quale opera. Ad esempio alle scuole del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, cosa in particolare suggerirebbe?
R: Certamente! E’ necessario uno studio del territorio, in una logica di rete, per corridoi ecologici, secondo un approccio ecosistemico. Sarebbe inoltre importante la specializzazione degli istituti anche per la formazione delle professionalità utili al territorio: in un parco nazionale come quello del Cilento si potrebbe strutturare il sistema della formazione dei quadri per l’ecoturismo, per la bioagricoltura, per la protezione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, per l’ingegneria naturalistica, per le nuove tecnologie informatiche, per il risparmio energetico e l’uso delle energie alternative.

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