Rivolta del Cilento del 1828: stasera al tg2 Giuseppe Galzerano

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Rivolta del Cilento del 1828: stasera al tg2 Giuseppe Galzerano

Il Tg2 delle 20 e 30 di stasera, domenica 2 maggio, si occuperà della rivolta del Cilento del 1828. La giornalista Adele Ammendola, conduttrice del Tg2, intervista Giuseppe Galzerano, in relazione al ruolo e alla partecipazione delle donne cilentane alla rivolta. A riguardo, Galzerano, editore e professore cilentano, ha pubblicato nel 1998 un suo libro dal titolo "Le memorie di Antonio Gallotti. La rivolta del Cilento del 1828".


Ma cosa si intende per "rivolta del Cilento"?

I moti del Cilento furono un tentativo di insurrezione, promosso nell’estate del 1828 da aderenti a società segrete, avente per obbiettivo il ripristino della Costituzione del 1820 nel Regno delle due Sicilie.


Cenni storici della vicenda..


Premesse
I moti costituzionali del 1820, promossi dalla Carboneria (una società segreta rappresentante nel Regno delle Due Sicilie gli interessi della piccola borghesia di provincia, dalla bassa ufficialità e dell’artigianato) avevano spinto Ferdinando I delle Due Sicilie a concedere una effimera costituzione (6 luglio 1820). Pochi mesi dopo, nel congresso di Lubiana, lo stesso Ferdinando I, rinnegando la costituzione da lui giurata, chiese l’intervento delle forze della Santa Alleanza nel proprio regno perché lo aiutassero a ripristinare il regime assolutistico. Pertanto il 24 maggio 1821 l’esercito austriaco guidato dal generale Frimont, dopo aver sconfitto ad Antrodoco l’esercito delle Due Sicilie guidato da Guglielmo Pepe (7 marzo 1821), entrava a Napoli. Convinzione generale nelle Due Sicilie, tuttavia, era «che la Costituzione del 1820 fosse stata abrogata contro la regale volontà e che il Sovrano aspettasse solo un incoraggiamento per rimetterla in vigore».

Preparazione
Nel 1828, a Napoli, la "Camera Alta" dei Filadelfi, una società segreta simile alla Massoneria diffusa in Irpinia e nel Cilento, aveva deliberato un’insurrezione per riavere la Costituzione del 1820 da Francesco I delle Due Sicilie. A capo della congiura il canonico Antonio Maria De Luca, carbonaro, che era stato deputato al Parlamento napoletano nel breve periodo costituzionale del e dal 1821 esiliato a Napoli. Avevano aderito alla sommossa, che avrebbe dovuto scoppiare nel periodo compreso fra il 25 maggio e il 25 giugno, elementi della Carboneria e perfino una banda di briganti, quella dei fratelli Capozzoli. Uno dei capi, Antonio Galotti, aveva tuttavia confidato i segreti della congiura a un delatore, scambiato per un confratello, un certo cavalier Carlo Iovine di Angri, il quale ne informò le autorità borboniche; il ministro polizia delle Due Sicilie Nicola Intonti aveva dato disposizione per controllare con discrezione l’evolvere degli eventi. Dopo l’arresto nel Cilento di alcuni congiurati (13 giugno) il canonico De Luca fissò la data dell’insurrezione al 28 giugno.

L’insurrezione

La notte fra il 27 e il 28 giugno 1828 il Galotti e la banda Capozzoli disarmarono le guardie comunali di Centola costringendole ad accompagnarli nel forte di Palinuro dove gli insorti ritenevano fossero custoditi 1500 fucili, dodici cannoni e abbondanti munizioni; il bottino di Palinuro fu invece di pochi moschetti e scarsa polvere da sparo rovinata dall’umidità. Nonostante il deludente inizio, le forze ribelli ottennero l’adesione di nuovi simpatizzanti dalle varie località del Cilento. Tranne a San Giovanni a Piro, i ribelli furono accolti con entusiasmo in numerose località, e soprattutto a Bosco. A Camerota furono raggiunti da un folto gruppo di aderenti guidati dal Padre cappuccino Carlo da Celle.

Nel frattempo Francesco I, il quale temeva che la rivolta fosse stata organizzata da alcuni fuoriusciti napoletani a Malta con l’obiettivo una restaurazione murattiana, identificò nel maresciallo Del Carretto, già carbonaro e capo di Stato Maggiore nell’esercito costituzionale di Guglielmo Pepe, ma nel 1828 desideroso di accrescere il proprio prestigio rispetto al rivale Nicola Intonti, moderato ministro di Polizia. Il 1 luglio 1828 gli insorti, informati che Del Carretto stava marciando contro di loro alla testa di 8.000 soldati, consapevoli della mancanza di risorse necessarie per organizzare la difesa, decisero di rimettere in libertà i prigionieri, e lo stesso De Luca esortò gli insorti a sbandarsi.

Epilogo
Nonostante la ritirata dei rivoltosi, Del Carretto si comportò à la Manhès, con "nera asprezza": fece radere a cannonate la cittadina di Bosco, eseguire ventitré condanne a morte e far esporre le teste degli insorti nelle località della zona. Mentre la maggioranza degli insorti si arrese a Vallo della Lucania il 7 luglio 1828, il resto sì dette alla macchia.
Non essere riuscito a catturare il canonico De Luca, Del Carretto minacciò di radere al suolo Celle di Bulgheria, come aveva già fatto con Bosco. De Luca, per evitare al proprio paese natale una sorte spaventosa, si costituì assieme al nipote Giovanni De Luca, anch’egli sacerdote, e ad altri otto insorti. Dopo processo sommario vennero tutti condannati a morte: gli otto laici fucilati all’alba del 19 luglio 1828, i due religiosi il 24 luglio, dopo che l’arcivescovo di Salerno Camillo Alleva li ebbe scomunicati.
Galotti, i Capozzoli e alcuni pochi altri riuscirono a fuggire in Corsica. Ritornati nel Cilento l’anno successivo, i Capozzoli vennero arrestati in un conflitto a fuoco il 17 giugno 1829e successivamente fucilati nel forte di Palinuro dopo un processo sommario. Galotti venne consegnato al Regno delle Due Sicilie da Carlo X di Francia, riuscì a scampare alla pena capitale e tornare in Francia per le proteste dell’opinione pubblica francese, guidate dal La Fayette, dopo la Rivoluzione di Luglio.

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