Storici dell’arte bocciano opera scultura in piazza a Vallo della Lucania: «Nessuna relazione con il Cilento»

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Storici dell’arte bocciano opera scultura in piazza a Vallo della Lucania: «Nessuna relazione con il Cilento»

Marmo di Carrara, due corpi che si abbracciano. E’ l’opera d’arte che a breve sarà collocata al centro di piazza Vittorio Emanuele II a Vallo della Lucania. A sceglierla la commissione, che negli ultimi mesi aveva destato l’interesse dei cittadini per via della sua composizione inesatta, poi modificata con una delibera che ha introdotto due artisti e il progettista della piazza, come previsto dalla legge. La giuria ha scelto l’opera d’arte della scultrice padovana Paola Epifania. A distanza di qualche settimana, Silvia De Luca, dottoranda in Storia dell’Arte dell’Università di Firenze, originaria di Vallo della Lucania e Lorenzo Fiorucci, storico dell’Arte diplomato alla Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici di Siena con il professor Enrico Crispolti, hanno inviato una riflessione, scritta a quattro mani, a proposito della scultura scelta per la piazza vallese. La pubblichiamo integralmente.

La scelta di collocare al centro di una piazza storica una nuova statua riporta alla ribalta il tema dibattuto da Arturo Martini nella sua pubblicazione La scultura lingua morta, edita nel 1945. In quell’ormai famoso testo, il celebre artista affrontava un argomento sorprendentemente attuale. Egli poneva al centro della discussione la necessità di ripensare il ruolo della scultura, perché avvertiva, con lucidità non comune, che la società dell’epoca era profondamente mutata rispetto al passato e, con essa, le sue modalità di autorappresentazione. In particolare, Martini considerava morta una determinata tipologia di scultura, ovvero la statuaria legata a vecchi e potenti committenti: ricca di retorica, celebrativa e spesso autoreferenziale. Sono passati settant’anni anni da quelle considerazioni che hanno ispirato molti dei migliori scultori delle generazioni successive stimolandoli a reinventare un linguaggio più aderente ai propri tempi.

Tuttavia ancor’oggi permane nei confronti della scultura un approccio quantomeno anacronistico. Molte delle nostre piazze risultano oltraggiate da interventi scultorei che non tengono conto del contesto storico – ambientale nel quale si inseriscono, non considerano il rapporto spaziale con le preesistenze architettoniche e appaiono slegati dal territorio circostante finanche nella scelta dei materiali. In tal modo, la scultura torna ad essere un oggetto che si impone sulla piazza e alieno da ogni contesto d’origine. È il rischio che corre anche la piazza di Vallo della Lucania. Infatti l’opera Leud della scultrice Rabarama non rispecchia le riflessioni suddette. La coppia abbracciata si limita a riproporre il repertorio uniforme dell’artista e appare completamente slegata dal contesto architettonico. Il tema della fratellanza non emerge dalle due figure, che sembrano inespressive e anaffettive. Esse sono piuttosto assimilabili ad automi replicati, con lo sguardo fisso nel vuoto, e la loro diversa identità si coglie dal solo simbolo sessuale inciso sul capo. Nessuna relazione con il Cilento mostra il materiale prescelto: il marmo, bianco e freddo, è lontano dalla tradizione del territorio. In sostanza, nel contesto in cui viene inserita, Leud risulta un mero oggetto decorativo che aggredisce lo spazio storicizzato piuttosto che entrare in relazione con esso. In definitiva, il criterio con cui si è proceduto alla scelta dell’opera non risponde alle esigenze che si è qui tentato di illustrare. Sembra invece si sia ignorato il pericolo, evidenziato da Martini, di realizzare opere scultoree che figurassero ancora con vecchi principi statuari, utilizzando la scultura come linguaggio morto, incapace di comunicare con le esigenze di una società contemporanea in rapido mutamento, la quale, in un mondo sempre più omologato, appare quanto mai bisognosa di punti di riferimento, anche simbolici, che attestino una relazione identitaria e uno stretto legame di appartenenza con il territorio che abita. 

Lorenzo Fiorucci Storico dell’Arte e Silvia De Luca Storico dell’Arte 


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