Studenti e viaggiatori ungheresi nelle Università italiane: preludio all’Umanesimo ungherese

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Studenti e viaggiatori ungheresi nelle Università italiane: preludio all’Umanesimo ungherese

Gli stretti rapporti culturali italo-ungheresi si saldarono non soltanto attraverso gli ambasciatori, gli uomini di corte, gli artisti e gli umanisti italiani che giunsero a Buda sotto i re Angioini, ma anche attraverso il ruolo dell’Università italiana nella formazione dei giovani magiari.  In mancanza di Università in Patria (la prima università ungherese fu fondata a Pécs, nel 1367, dal vescovo italiano Guglielmo), già a partire dai primi decenni del Duecento gli intellettuali ungheresi si recarono in Italia, all’Alma Mater bolognese. Ricerche condotte sulle Università medioevali fanno risalire al 1221 il primo contatto documentato tra l’Università di Bologna e l’Ungheria, quando il Magister Paulus Hungarus partì dallo Studium bolognese per organizzare il primo convento domenicano in Ungheria: da allora i domenicani assunsero un ruolo determinante nella capacità di attrazione dello Studio Bolognese. 

Fra Tre e Quattrocento grazie all’istituzione dei Collegi Ungarici la presenza in Italia degli studenti ungheresi si rafforzò notevolmente e rimase massiccia fino a tutto il Settecento, anche nei difficili secoli della storia magiara, nell’epoca della dominazione turca e delle guerre di liberazione, a conferma dei legami culturali divenuti oramai saldissimi  tra Italia e Ungheria. 

Padova, più vicina e legata da numerosi rapporti politici e commerciali con l’Ungheria, raggiunse presto il numero di iscritti ungheresi dell’Alma Mater bolognese. Bologna, Padova, Ferrara e in seguito gli altri atenei italiani assunsero un ruolo fondamentale nella formazione degli umanisti ungheresi. 

Il primo rappresentante dell’Umanesimo ungherese fu l’arcivescovo di Esztergom János Vitéz. Intelletto aperto a tutto lo scibile, autore delle Epistole e dei Discorsi,  Vitéz frequentò gli intellettuali italiani che erano esponenti del più alto clero ungherese, come Andrea Scolari e Pier Paolo Vergerio.  Nel suo palazzo arcivescovile János Vitéz diede vita al primo cenacolo umanistico magiaro e, contornata da affreschi, quadri e bronzi di artisti italiani, la sua Biblioteca rappresentò la prima raccolta umanistica del popolo ungherese. Vitéz, fondatore a Bratislava dell’Academia Istropolitana, fu precettore di Ladislao e di Mattia, i due figli del condottiero e governatore d’Ungheria Giovanni Hunyadi, che tutta la vita difese l’Ungheria dal pericolo turco. Il figlio Mattia  diventerà re Mattia Corvino anche grazie al sostegno del vescovo Vitéz. 

Il grande poeta umanista ungherese fu Janus Pannonius, che lo zio vescovo János Vitéz mandò a studiare in Italia, presso la Scuola di Guarino Veronese a Ferrara e all’Università di Padova. Janus, che a Firenze frequentò Cosimo de’ Medici, fu amico di Marsilio Ficino e  dell’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini (futuro Papa Pio II), assieme al quale pose le basi della retorica umanistica in Ungheria. Quando Janus Pannonius tornò in Patria fu nominato vescovo di Pécs e divenne cancelliere del re Mattia Corvino. 

Intanto, nello spesso periodo in cui il nipote Janus Pannonius tornava in Patria, il vescovo – mecenate Vitéz mandò a studiare in Italia gran parte di quei giovani che rappresentarono la prima grande stagione dell’ Umanesimo ungherese: Péter Garázda, Péter Váradi, György Polykárp Kosztolányi, György Handó, Miklós Bánfalvi, Miklós Báthory, László Vetési, János Megyericsei, István Várdai, László Geréb Vingarti. 

L’umanesimo ungherese si contraddistinse per un coltissimo latino: è in latino virgiliano che risuonarono le prime fiere invettive rivolte ai turchi che avanzano contro l’Ungheria, scritte da Janus Pannonius; e sempre in latino, spinto dall’amore per i valori umanistici e dal sogno di un dominio della cultura, scrisse  János Vitéz quando esaltò la fierezza patriottica che tanta parte avrebbe avuto nella letteratura magiara, riuscendo a presentire l’inquietudine e i pericoli dei turchi che si avvicinavano, al punto da opporsi, d’accordo con il Papa, al re Mattia, che sembrava indifferente dinanzi al pericolo turco. La congiura di Vitéz fallì: incarcerato, il vescovo morì poco dopo; suo nipote János Pannonius fuggì  in Italia, ma non riuscì a raggiungerla. 

Nel suo raffinato palazzo di Buda che si affacciava sulle rive del Danubio, Mattia Corvino sembrò ripetere gli splendori della corte medicea e chiamò presso di sé letterati,  sapienti, artisti e musicisti italiani. L’umanesimo corviniano si caratterizzò per la massiccia presenza degli umanisti italiani alla corte di re Mattia Corvino, che dopo la sconfitta della congiura organizzata dal vescovo János Vitéz e da suo nipote Janus Pannonius divenne diffidente verso i dotti ungheresi. E dopo aver contratto seconde nozze con Beatrice d’Aragona di Napoli, re Mattia Corvino strinse sempre più salde alleanze politiche e culturali con l’Italia, dove l’eco letteraria della grandezza dell’Ungheria corviniana ebbe forte risonanza attraverso dediche, poesie laudative, carmina e  dialoghi scritti da italiani che vissero alla corte corviniana. Un ruolo importante ebbe l’opera dell’italiano Galeotto Marzio, che in un diario dal titolo De egregie sapienter, jucose dictis ac factis regis Mathiae descrisse Mattia Corvino come un esemplare principe umanista, saggio e umano. 

Alla morte di Mattia Corvino l’impegno degli intellettuali proseguì nel Cinquecento, favorendo la diffusione del latino e rafforzando il culto dell’umanesimo: mentre il regno guidato dal giovane e inesperto re Lajos II cadeva contro il Turco  e si frantumava in tre pezzi, il lascito dell’umanesimo ungherese produceva széphistóriák, le “belle storie” che sovente attingevano i loro soggetti da fonti letterarie italiane,  legando saldamente all’Occidente l’Ungheria, quell’ Ungheria che presto si sarebbe rialzata per combattere e per difendere l’Europa dai Turchi. 

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