Golfo di Policastro: grida di allarme giungono da un lettore. Un articolo-denuncia sullo stato in cui versano alcune zone del Golfo

| di
Golfo di Policastro: grida di allarme giungono da un lettore. Un articolo-denuncia sullo stato in cui versano alcune zone del Golfo

Romeo Giusti ha inviato un articolo-denuncia al giornaledelcilento.it dopo che la stessa lettera è stata inviata ai sindaci, alle amministrazioni comunali del Cilento e Basso Cilento e ad organi preposti alla difesa del territorio. Un vero grido d’allarme.
“– Articolo-denuncia: “ Dalle nostre parti”.  Per avere una qualche incitazione a scrivere, e motivazione ulteriore, ho cercato condivisione di pensiero e solidarietà, tra la gente, ma non ne ho trovate. Quando ho fatto cenno d’alcune questioni, ho visto inebetirsi numerose facce, eppure non ho parlato di astrofisica o di meccanica quantistica; ho riferito di cose semplici, che si trovano sotto gli occhi di tutti. Per fortuna, le parole di Josè Saramago, Nobel portoghese per la letteratura, in un passo del libro “Viaggio in Portogallo”,  mi hanno spinto a scrivere e dato la forza: ”… Tutta la regione gli sembra un paesaggio di periferia, disseminato di case, e vi si nota il focolaio di penetrazione industriale che s’irradia da Porto. Perciò la chiesa madre di Antas, nel suo romanico trecentesco, spicca in maniera insolita, incongruente in questo luogo la cui ruralità si va disgregando, meno integrata nell’ambiente perfino del più delirante prodotto dellimmaginazione , “la casa maison con finestra a fenetre” per emigranti. Da quando il viaggiatore ha lasciato la regione di Tràs-os-Montes, i suoi occhi hanno cercato di non vedere gli orrori disseminati per il paesaggio, i tetti da quattro a otto colori diversi, gli azulejos da stanza da bagno trasferiti sulla facciata, i tetti svizzeri, le mansarde francesi, i castelli della Loira costruiti sul ciglio della strada a punto e croce, in Portogallo, l’ inconcepibilità del cemento armato, il bubbone, la gabbia da pappagallo, il grave delitto culturale che stanno commettendo e lasciamo commettere. Ma adesso, con la bellezza sobria e purissima della chiesa di Antas e, contemporaneamente, con l’insieme di quelle architetture becere davanti agli occhi addolorati, il viaggiatore non può continuare a fingere di non vedere, non può parlare solo di soddisfazioni e di consensi, e deve lasciare qui la sua protesta contro i responsabili del degrado generale…” – E così, ora, io m’accingo : Ogni nostro concittadino protesta con grande forza quando il vicino di casa, aumentando abusivamente l’ altezza del proprio solaio per guadagnare una sufficiente cubatura abitabile, preclude alla vista l’ultimo pezzo di panorama sul golfo. La sua, è una protesta giustificata, e legittima; e infatti, per mano dello scellerato vicino, il nostro rischia di  perdere definitivamente, il diritto sacrosanto a godere di un bene comune; di quella vista sul golfo, appunto. Egli sa bene che se la rivendicazione di quel diritto non dovesse giungere a buon fine, da quel momento in poi dovrà mestamente accontentarsi d’ avere innanzi ai propri occhi, in luogo d’un pezzo di panorama, un bel pezzo di muro. Ogni nostro bravo concittadino protesta con grande forza dunque. Non s’accorge  però, che ai sui stessi danni, e ai danni di una vasta comunità, e delle generazioni che seguono, ormai da tempo, viene giornalmente perpetrato un crimine ben più grave: il dissesto idrogeologico, la distruzione della flora e della fauna,  attraverso la cementificazione selvaggia di questo nostro territorio. E’ sorprendente constatare, come questo stesso concittadino, armi alla mano, sia pronto a rivendicare la libertà di respirare il proprio pezzo di cielo, a far valere questo proprio diritto quando gli viene negato in modo diretto ed immediato, e come invece, diventi assolutamente insensibile  e cieco, quando la medesima libertà ed il medesimo diritto gli vengono negati con modalità solo apparentemente meno dirette. E’ sorprendente constatare come non capisce che la cementificazione del territorio tutta, significa esattamente la cementificazione del suo proprio territorio; la distruzione del suo proprio habitat; la perdita irreversibile di un suo pezzo di zona verde; la perdita definitiva di un suo prezioso pezzo di cielo e di una sua propria preziosa quota di ossigeno. Non esiste alcuna ragione valida che giustifichi tutte queste perdite. E per contro gli viene regalata la certezza di vivere un nuovo caos urbano ed il piacere di respirare merda di giornata; di produzione ultima; ed è sufficiente mettere il naso fuori dalle proprie tane, per accorgersi che già oggi, in buona parte, subiamo tale condizione. Attraverso il secolo scorso, in piena fase di rivoluzione industriale, e specialmente nell’immediato dopoguerra, e poi negli gli anni 60, a cominciare dal nord dell’Italia, la cementificazione del territorio è stata un processo progressivo ma lento; potrebbe anche dirsi, in alcuni casi, un processo necessario, come risposta alla ricostruzione post-bellica e poi alla grande domanda di nuovi alloggi per la gran massa degli operai provenienti dal sud; come la risposta alla necessità delle grandi strutture per l’energia e le comunicazioni, alle strutture della stessa industria, e come la risposta al boom economico e  all’incremento demografico. Oggi, la novità è che, in piena “era” cosiddetta post-industriale, dove nuove grandi strutture non hanno ragion d’essere, e per quelle piccole c’è spazio a sufficienza, e per le grandi opere di comunicazione, è necessaria solo la ordinaria manutenzione o tutt’al più quella straordinara,  ed oggi, che assistiamo ad una fase d’invecchiamento deciso della popolazione e di decremento, l’avanzata di nuova edilizia (e la conseguente cementificazione del territorio) non solo non si ferma, ma subisce addirittura una forte accelerazione. Non esiste alcuna ragione valida che giustifichi tale fenomeno; a questo punto, per renderne conto in qualche modo, è necessario avventurarsi decisamente in una trattazione di patologia. Così come le cellule cancerose, impazzite, vittime del proprio caos colonizzano i tessuti di un organismo ancora piuttosto sano portandolo alla morte e portando alla morte se stesse, allo stesso modo i nuovi barbari, vittime del proprio caos, tenendo ben in vista l’enorme vessillo della propria enorme ignoranza, colonizzano e portano alla morte il territorio e chi vi abita. Qui potremmo perderci in analisi più o meno dettagliate per cercare le ragioni di un processo storico socio-culturale ed economico che regala, ai nostri tempi, questa generazione di feroci assassini; ma qui, noi non ci perderemo. Dunque, alla base, impèra un’ ignoranza consolidata e il vuoto; così la mente di numerosi individui diventa facile preda di sentimenti negativi e deleteri, e viene mossa da una imperiosa, perversa, smodata, volgare, cieca, compulsiva tendenza ad accumulare danaro e beni materiali; e ciò a scapito del patrimonio comune. In alcuni casi assistiamo a comportamenti che vanno oltre l’ambito della patologia verso la sfera delle Manifestazioni Demoniache. Uno dei mali che affliggono l’uomo di oggi, devastatore sciagurato,  è la ricerca illimitata del benessere materiale come surrogato della felicità spirituale, liquidata come un chimerico e inesistente sogno del passato. Dunque quella che un tempo era chiamata felicità, dal piano spirituale viene RETROCESSA  a quello materiale e fisico: essa consisterebbe esclusivamente nel poter fruire di beni materiali nel maggior numero possibile. Ma è proprio così? Certo che no.  E ancora:  esiste anche una ragione, se è lecito servirsi di queste parole, situata qualche gradino più in basso, e più specifica, che muove l’uomo di oggi, (a cominciare dagli amministratori, per fortuna NON tutti, aspiranti amministratori, speculatori senza scrupoli, passando per i figuri più inquietanti del malaffare, per finire all’ultimo raccattatore di licenze edilizie)  ad accumulare il più possibile danaro e beni materiali a scapito del territorio, nostro bene comune,  ed è la ragione che deriva dalla convinzione che il mero accumulo di danaro possa compensare il dolore della virilità perduta, o che insomma possa servire a bilanciare il grave handicap, fisico e psicologico, pesante fardello, di una ormai acquisita e irreversibile, più o meno precoce impotenza, propriamente di tipo sessuale. Ma questa è una verità che non molti conoscono. L ’atteggiamento rabbioso verso tutto ciò che costituisce armonia e bellezza, la comparsa di una bava appiccicosa agli angoli della bocca e la perdita dell’udito, completano il quadro sintomatologico dell’uomo dedito prevalentemente all’attività di rapina del territorio. Queste parole potrebbero sembrare uno scherzo, o un delirio, e invece, sono l’espressione di una la lettura fin troppo facile di una realtà tragica; e se ancora ce ne fosse bisogno,  le prove della loro veridicità sono nei gravi fatti delittuosi occorsi, dalle nostre parti, qualche tempo addietro. Ricordiamo il brutale assassinio di un eroico guerriero, il sindaco di Acciaroli, Angelo Vassallo, oppostosi con coraggio alle offensive dei barbari. All’indomani della sua morte, officiando il rito funebre, il vescovo di Vallo della Lucania, monsignor Rocco Favale pronunziò parole memorabili di cui dovremmo fare tesoro :”…tenete gli occhi bene aperti su tutto quello che vi circonda e soprattutto non fatevi venire la voglia dei grandi affari, soprattutto di somme di denaro di indubbia provenienza. Oggi Angelo sembra dirci proprio questo, ancora una volta; non lasciatevi prendere dalla prospettiva degli affari d’oro. Il denaro non è tutto nella vita. Tenetevi stretti con coraggio e con fatica quello che i vostri antenati vi hanno lasciato e che voi avete acquistato. Restate voi i veri padroni del Cilento. Vi chiedo di essere i custodi e le sentinelle del Cilento. Abbiate il coraggio di accontentarvi del poco, il troppo acquistato velocemente vi fa perdere la bellezza del vivere. L’illecito guadagno ci rende miopi e ci abbrutisce l’animo. Questi sicari sono la dimostrazione pratica dell’abbrutimento della loro dignità umana”. Quello a cui invece, oggi, continuiamo ad assistere,  sono fatti che vanno esattamente nella direzione opposta:  tra la sconcertante indifferenza generale, gruppi di criminali rabbiosi (tra i quali si trova, come figura nuova, anche l’ ultimo insospettabile uomo comune della strada che all’improvviso, contagiato da un certo virus, decide di giocare a fare l’imprenditore”), abbattono e distruggono ogni giorno decine di ettari di vegetazione mediterranea, corbezzoli, ulivi selvatici, querce e piante da sughero secolari; e al loro posto, in luoghi amenissimi ed incantati, (incantati almeno fino a quel momento), fanno nascere strutture in cemento armato, dai due ai quattro piani, dalle fogge architettoniche indefinibili, semplicemente disgustose e  vomitevoli. E a sacrilegio consumato, veramente non si riesce a capire il significato dell’esistenza di siffatti mostri, sottospecie di condominii di periferia, nel bel mezzo di boschi sperduti;  sperduti almeno fino a quel momento. In barba alle severe normative in tema di costruzioni edilizie sui terreni agricoli e protetti, si distribuiscono licenze edilizie a “destra” e “sinistra”, in alcuni casi traendone vantaggi immediati, ed in altri, nella prospettiva di favori elettorali. I proprietari terrieri, piccoli e grandi, che sono molti, svendono i terreni dei propri padri, per quattro soldi. Chi gioca a fare l’imprenditore e s’accinge a colare cemento, forse ne trarrà un vantaggio immediato, ma subito dopo o poco più tardi avrà lasciato in eredità ai giovani e ai propri figli la desolazione e una pessima qualità della vita. Voglio concludere con le parole augurali del poeta- scrittore, rivolte a tutti noi e soprattutto ai più giovani, ai quali s’affida da sempre la speranza per un futuro mondo migliore :”…tutti gli esseri viventi – uomini e animali – tengono lo sguardo leggermente rivolto verso il suolo e creano intorno a sé una sorta di “spazio magico”: perlopiù si tratta di un cerchio con un raggio di cinque metri. Ciascuno di noi presta attenzione a ciò che si trova al suo interno, indipendentemente dal fatto che siano persone o tavoli o telefoni o vetrine, e s’impegna per mantenere il controllo sul piccolo mondo che ha plasmato. Ma è il tempo, ormai,  di alzare lo sguardo e vedere sempre più lontano. Ampliamo questo “spazio magico”  e cerchiamo di controllare molte più cose!  E’ quello che si definisce, “guardare l’orizzonte”.  -E perché dovremmo farlo?-  Perché siamo qui, adesso. Sforziamoci e ci accorgeremo che tutto cambierà. “   
 R. G.

©

Consigliati per te

©Riproduzione riservata