Caso petrolio Vallo di Diano, dopo 15 anni la nuova corsa all’oro nero. Il parere del geologo Franco Ortolani (Parte II)

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Caso petrolio Vallo di Diano, dopo 15 anni la nuova corsa all’oro nero. Il parere del geologo Franco Ortolani (Parte II)

Nel 1997 i cittadini del Vallo di Diano si mobilitarono alla notizia che un gruppo di società petrolifere avevano ottenuto permessi per eseguire un pozzo esplorativo alla ricerca di giacimenti petroliferi ad oltre 4000 m di profondità.
Dopo 15 anni una nuova corsa all’oro nero, la Shell mostra interesse per il comprensorio valdianese  provocando così una nuova mobilitazione;  nella riunione tenutasi il 23 febbraio presso la sede della Comunità Montana nella Certosa di San Lorenzo a Padula i sindaci dell’area stilano un documento per ribadire il loro “No” alle trivellazioni.

Ma ancora non è finita,  torniamo, quindi, ancora una volta a quel lontano 1997 con il racconto – documento del geologo Franco Ortolani ordinario di geologia presso l’Università Federico II di Napoli, per capire i problemi, i rischi e le opportunità che una nuova corsa all’oro nel Vallo di Diano potrebbe determinare.

Problemi geoambientali principali  I problemi geoambientali principali connessi alla ricerca e produzione di idrocarburi nel territorio della Comunità Montana erano essenzialmente due:

– rischio idrogeologico del sito in cui era prevista la realizzazione del pozzo S. Michele 1;

– rischio sismico derivante da effetti locali quali rotazioni di blocchi rocciosi di notevole spessore e spostamenti verticali relativi tra blocchi in occasione di un eventuale sisma simile a quello del 1857.

Il sito in cui era prevista la realizzazione del Pozzo S. Michele 1 è ubicato nel centro della valle torrentizia denominata Vallone Bersaglio ed è sottoposto a vincolo idrogeologico. La Texaco aveva richiesto lo svincolo idrogeologico dell’area producendo uno studio con cui si proponeva di realizzare una sistemazione idraulica in modo da deviare le eventuali acque di piena che avrebbero potuto incanalarsi nella valle in seguito ad eventi pluviometrici eccezionali. Il rischio idrogeologico connesso alla invasione di acqua in tal modo sarebbe stato eliminato.

L’indagine svolta da Ortolani evidenziò un problema, fino ad allora mai segnalato per il margine nordorientale del Vallo di Diano, rappresentato dalle colate rapide di detriti che nel secolo scorso hanno già interessato l’area di Padula.
Il problema geoambientale più grave del sito non era rappresentato, pertanto, dalle piene idriche eccezionali ma dal rischio di colate rapide di fango e detriti.

Il sito prescelto dalla Texaco per realizzare il pozzo risultò ad alto rischio idrogeologico connesso al transito di colate rapide di fango e detriti. Una eventuale colata avrebbe potuto distruggere istantaneamente gli impianti di perforazione mettendo a rischio anche la vita degli addetti ai lavori del pozzo esplorativo S. Michele 1 ma non solo, avrebbe potuto anche interessare il sito, qualora il pozzo esplorativo rinvenga un giacimento, durante le successive fasi di produzione di idrocarburi che potrebbero prolungarsi anche per alcune decine di anni. I danni ambientali in tale caso sarebbero immediati per le falde idriche all’interno delle rocce carbonatiche e detriti molto permeabili e ad elevata vulnerabilità determinando un inquinamento di lunga durata.

Conclusioni L’indagine svolta dal geologo Franco Ortolani evidenziò alcuni importanti aspetti geoambientali dell’area interessata dalle ricerche petrolifere sul versante del fiume Tanagro che finora non sono emersi dai vari contributi forniti dalla Texaco, dai suoi consulenti e dai consulenti delle Istituzioni locali.

L’indagine condotta fornì nuovi elementi alla Comunità Montana ed a tutte le Istituzioni interessate ad un sapiente uso delle risorse naturali e allo sviluppo socio-economico del territorio.

I nuovi elementi Il sito in cui doveva essere realizzato il pozzo S. Michele 1, nel centro del Vallone Bersaglio, presenta rischio idrogeologico a causa di possibili colate di fango e detriti.

Le opere di sistemazione idraulica del vallone previste dalla Texaco non servivano a scongiurare il rischio connesso al passaggio rapido e messa in posto di migliaia di metri cubi di detriti qualora dai versanti a monte si fossero innescate colate di fango e detriti. L’area del cantiere sarebbe stata inesorabilmente sconvolta con grave pericolo per la vita degli addetti al lavoro.

Il rischio ambientale sarebbe ancora più grave se un tale evento franoso si verificasse durante le fasi di produzione di idrocarburi con conseguente irrimediabile inquinamento delle falde idriche.

Il sito in cui doveva essere realizzato il Pozzo, così come tutti i Monti della Maddalena ubicati sulla sponda destra del fiume Tanagro, si trova nella fascia a più elevato rischio sismico qualora si verifichi un evento simile a quello del 1857; il rischio è connesso alla probabile rotazione di blocchi rocciosi lungo assi suborizzontali ed allo spostamento verticale di blocchi contigui. Effetti geologici simili sono stati rilevati e documentati da vari autori in seguito all’evento sismico del 1980.

Anche in seguito agli eventi sismici recenti del settembre-ottobre 1997, caratterizzati da magnitudo inferiore a quella degli eventi del 1980 e 1857, tra Umbria e Marche si sono rilevati spostamenti verticali tra blocchi rocciosi contigui lungo una ampia fascia larga vari chilometri, come è stato ampiamente documentato da Giuseppe Cello dell’Università degli studi di Camerino durante il Convegno Nazionale Geoitalia 97 tenutosi all’inizio di ottobre 2011 a Bellaria di Rimini.

La rotazione di blocchi o lo spostamento verticale tra blocchi contigui potrebbe determinare seri inconvenienti alle tubazioni infisse nel sottosuolo per circa 4000 metri. I problemi gravi si avrebbero in fase di produzione di idrocarburi con probabili rotture delle tubazioni e fuoriuscita di fluidi nel sottosuolo che potrebbero inquinare gravemente le falde idriche.

Le vitali falde idriche vanno tutelate accuratamente per cui secondo Ortolani è bene che vada evitato qualsiasi intervento che comporti anche una sola probabilità di arrecare inquinamento alle strategiche risorse idriche sotterranee.
Lo scontro si concluse in tribunale con una vittoria della comunità locale per cui il pozzo esplorativo fu bloccato.

Dopo 15 anni si ripropone il problema La richiesta di perforazione del Pozzo S. Michele 1 aveva evidenziato una situazione del tutto nuova in quanto gettò luce sul fatto che possono entrare in conflitto gli usi di due importanti risorse: l’uso potabile, agricolo e industriale dell’acqua degli acquiferi superficiali e l’estrazione degli idrocarburi profondi.

Dal momento che allo stato attuale le leggi possono consentire di avviare interventi “nuovi”, il cui impatto sul territorio può essere di non facile valutazione mancando esperienze precedenti, che possono determinare inquinamento delle falde e considerando che vanno utilizzate correttamente tutte le risorse naturali, andrebbero individuati gli opportuni rimedi legislativi e tecnici per consentire un armonico sviluppo di tutto il territorio evitando di avviare interventi che potrebbero irrimediabilmente danneggiare le strategiche risorse idriche.

Il parere del geologo Franco Ortolani è che sarebbe un errore imperdonabile provocare l’inquinamento di risorse idriche strategiche rinnovabili, destinate a persistere in eternità sul territorio e quindi a disposizione di tutte le generazioni umane future, in seguito ad una non completa e corretta valutazione dei rischi connessi all’estrazione degli idrocarburi; va considerato, inoltre, che la conoscenza dei problemi ambientali connessi alle azioni dell’uomo deve consentire di adottare ubicazione delle perforazioni tali da non danneggiare le risorse idriche.

Oggi si assiste ad una nuova mobilitazione nel Vallo di Diano in seguito all’avviso emanato da un nuovo gruppo di società petrolifere che sono state autorizzate a svolgere ricerche geologiche e geofisiche e un eventuale pozzo esplorativo nelle stesse aree sulla sponda destra del fiume Tanagro.

E’ bene, quindi, che gli aspetti geoambientali connessi alla ricerca di idrocarburi con l’esecuzione di un pozzo sperimentale nel Vallo di Diano rappresentino un ” Caso di importanza nazionale ” e che le ricerche mediante trivellazione andrebbero sospese per dare l’opportunità a tutte le Istituzioni interessate, da quelle locali a quelle centrali, di mettere a punto i necessari interventi con cui portare avanti la ricerca e l’uso delle risorse naturali e ambientali con la più assoluta garanzia di preservazione e tutela delle risorse idriche.

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