Eboli, a volte anche qualcosa di piacevole come un ritorno a casa può trasformarsi in un incubo.

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Eboli, a volte anche qualcosa di piacevole come un ritorno a casa può trasformarsi in un incubo.

“Mi è successo due settimane fa, quando ero in viaggio verso Vallo della Lucania, il mio paese di residenza, per trascorrere qualche giorno di vacanza. Uscita dalla Salerno-Reggio a Battipaglia, ho imboccato la Statale 18 e mi sono ritrovata subito imbottigliata in una fila interminabile di auto in coda. Tutti verso il mare cilentano. È stata una traversata terribile. Per percorrere 65 chilometri ho impiegato due ore e mezza. Avrei dovuto aspettarmelo. Credo che ogni abitante della zona, ormai, sia perfettamente assuefatto ai disagi a cui va incontro quando è colto dalla scellerata idea di percorrere la vecchia statale, ormai totalmente inadeguata a svolgere la sua funzione di unica bretella di collegamento del Cilento e del Vallo di Diano con il capoluogo provinciale e più che insufficiente a gestire un traffico che non è solo quello veicolato dai flussi turistici, ma è soprattutto legato all’elevatissima concentrazione di attività economiche che si riscontra nella piana del Sele. Così, in preda al caldo e alla stanchezza, affrontavo l’usuale odissea verso casa tentando di soffocare con spirito di sopportazione e con grande rassegnazione il quesito che, simile a un tarlo, mi divora in queste circostanze: ma cosa aspettano le competenti autorità a varare un progetto di potenziamento di una  strada la cui inefficienza è ormai sotto gli occhi di tutti?
Si comprenderà allora il mio stupore quando, nel disperato e sovrumano tentativo di fornire una risposta a questo impenetrabile mistero, la mia attenzione veniva colta da una serie di cartelli pubblicitari che costeggiavano la carreggiata in prossimità di Eboli e annunciavano trionfalmente la prossima apertura di un grandioso centro commerciale: il Cilento Outlet Village.
Facendo una banale ricerca su Google, nei giorni successivi ho scoperto che si tratta di una struttura enorme, costata 80 milioni di euro e destinata ad ospitare 140 negozi. Le mie perplessità sono aumentate quando mi sono imbattuta in un blog dove si inneggiava alla nuova costruzione affermando che garantirà 500 posti di lavoro, sarà facilmente raggiungibile dagli svincoli autostradali di Battipaglia ed Eboli, e dove si spendeva addirittura la parola STRATEGICA per qualificare la posizione su cui insisterà quest’ennesimo mostro edilizio.
Credo che a chiunque sia chiaro come tutto questo, se non fosse profondamente drammatico, sarebbe immensamente ridicolo.
Il nuovo shopping centre sarà semplicemente un’ulteriore cattedrale nel deserto, l’ennesima delle infinite cause di intasamento di un asse viario che, per i motivi di cui ho già parlato, non regge già più il flusso automobilistico da cui è quotidianamente interessato, un altro “non-luogo”, come l’ha brillantemente definito Antonio Manzo in un articolo apparso su “Il Mattino” del 12 luglio 2009, reperibile su Internet, nel quale il giornalista ha cercato di far chiarezza sull’inquietante retroscena che fa da sfondo alla vicenda della costruzione del Cilento Outlet Village.
Ma, a prescindere da quelle preoccupanti implicazioni, la malaugurata iniziativa impone qualche altra riflessione. Innanzitutto, mi piacerebbe fare una precisazione. Etimologicamente e storicamente il Cilento si identifica con l’area geografica che si estende a sinistra dell’Alento, e che dunque non comprende affatto Eboli. Trovo dunque errata e fuorviante la denominazione della struttura. Ma i problemi che desidero sollevare sono purtroppo di ben altra entità.
Il nuovo complesso occuperà un’area di 34.000 metri quadri di terreno che dovrebbe essere destinato a scopi del tutto diversi. O davvero si pensa che 140 negozi ammassati in uno squallido e banale centro commerciale possano rendere quanto la produzione unica al mondo della mozzarella di bufala? Un outlet non fa la ricchezza del territorio che lo ospita, ma solo quella degli investitori senza scrupoli pronti a sacrificare, in nome del proprio personale profitto, un’area che è di per sé un patrimonio collettivo come la piana del Sele.
Io non voglio credere che le attuali amministrazioni locali non abbiano ancora compreso quanto è miope una politica che non promuova le tipicità della regione e non tuteli i piccoli e medi produttori, e punti piuttosto a lanciare propagandistiche promesse di berlusconiana memoria come quella dei 500 posti di lavoro. Sono giovane anch’io, e come tanti vivo in un perenne stato di precarietà, ma so che la mia terra possederebbe da sola tutte le potenzialità per garantirmi un futuro più che dignitoso se soltanto queste fossero sfruttate con rispetto e lungimiranza.
Ho vissuto per sette anni in Umbria e ora vivo e lavoro a Firenze. Non parlo dell’altra parte del mondo quando mi riferisco a regioni che, pur con tutti i limiti del caso, hanno compreso da molto tempo di quale entità può essere l’indotto generato da un’economia basata sulla promozione turistica e culturale del proprio territorio. Sullo stesso blog in cui si plaudeva al nuovo outlet, si parlava di un flusso di turisti che attraversa la nostra regione stimato in oltre sei milioni di presenze all’anno, dirette verso le località balneari e le mete artistiche più note. E questo immenso interesse di italiani e stranieri ha portato finora soltanto ad una sconsiderata cementificazione che ha distrutto, non valorizzato, centri come Casalvelino, Ascea, Agropoli, e che continua a violentare indisturbata ogni angolo del Parco Nazionale. Davvero si è convinti che il modo migliore per incrementare il turismo sia quello di sacrificare altri ettari di terreno per impiantare una struttura simile a decine di altre che punteggiano la Penisola, e non piuttosto di implementare l’offerta culturale e di differenziare le attività turistiche?
Né certo mi tranquillizza sapere che questo nascituro mostro edilizio sarà costruito ispirandosi agli elementi  della tipica “architettura rurale cilentana”. Sfido chiunque a ricercarli nei progetti resi noti dalla Promos (una delle due società, assieme all’Ingenre, che fa capo alla realizzazione dell’outlet) e divulgati dalle rete, che ricalcano moduli tutt’altro che innovativi e denunciano, tra l’altro, la scarsa fantasia dei curatori del progetto, i quali, proponendo fontane zampillanti, porticati e palme californiane, dimostrano semplicemente di aver applicato correttamente le funzioni di AutoCad.
Vorrei concludere facendo presente che ai nostri bambini non servono spazi recintati destinati all’edutainment (!), dove “possano imparare divertendosi”, previsti all’interno dell’outlet. Il migliore insegnamento che possiamo trasmettere alle nuove generazioni è quello di educarle a guardare la nostra terra come un tesoro unico al mondo, da rispettare, valorizzare e difendere.
Noi giovani abbiamo certo bisogno di posti di lavoro, ma ancor più essenziale sarebbe ritrovare la dimensione della nostra identità e delle nostre radici. E di sicuro non ci riusciremo in un ennesimo, anonimo e alienante “non-luogo”.

Silvia De Luca” 

 

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