La tragedia del treno di Salerno, 26 anni dopo la ferita è ancora aperta
| di Luigi Martino
A ventisei anni dalla tragedia del treno nella galleria Santa Lucia, il ricordo di Ciro Alfieri, Vincenzo Lioi, Giuseppe Diodato e Simone Vitale resta indelebile nella memoria della città.
Era il 24 maggio del 1999 quando un treno speciale, partito da Piacenza e diretto a Salerno, si trasformò in una trappola mortale. Quel convoglio riportava a casa circa millecinquecento tifosi della Salernitana dopo la trasferta dell’ultima giornata di campionato, una sfida amara che aveva sancito la retrocessione in Serie B. Ma la vera tragedia attendeva al ritorno, all’alba, nella galleria Santa Lucia.
Nel quinto vagone, alcuni tifosi decisero di incendiare i sedili per costringere il macchinista a fermare il treno, probabilmente nel tentativo di fuggire prima dell’arrivo a destinazione, per evitare l’identificazione dopo i numerosi atti vandalici compiuti durante il viaggio. Quella follia scatenò un rogo devastante. Le fiamme si propagarono rapidamente, alimentate dai materiali altamente infiammabili dell’arredamento del vagone. Il fumo tossico invase lo scompartimento, e per quattro giovani non ci fu scampo.
Ciro Alfieri aveva sedici anni, Vincenzo Lioi appena quindici. Giuseppe Diodato e Simone Vitale, più grandi, avevano rispettivamente ventitré e ventidue anni. Erano partiti per sostenere la loro squadra del cuore, la Salernitana, e non fecero mai ritorno. I loro corpi furono trovati carbonizzati all’interno della carrozza. La città di Salerno piombò nello sgomento, nella rabbia, nel lutto.
Da allora sono trascorsi ventisei anni. Ma quel dolore, quella rabbia, quella ferita restano aperti. Ogni 24 maggio, Salerno si stringe nel silenzio del ricordo. La Salernitana ha dedicato ai quattro ragazzi la sala stampa e i campi del centro sportivo Mary Rosy, mentre le famiglie, gli amici e i tifosi continuano a onorare la loro memoria con cerimonie, messaggi e presenze discrete nei luoghi simbolo della tragedia.
La storia di Ciro, Enzo, Peppe e Simone – come la città ha imparato a chiamarli con affetto e dolore – è il monito di ciò che non dovrebbe mai accadere. È la lezione di una tragedia nata dall’incoscienza, finita nella disperazione, che ha stravolto quattro famiglie e segnato per sempre una comunità intera.
Ventisei anni dopo, la loro memoria è ancora viva. Vive nei cori della curva Sud, nei fiori al cimitero di Brignano, nelle lacrime che ancora oggi scendono in silenzio. Vive nella consapevolezza che il calcio non dovrebbe mai costare la vita. Vive nella speranza che tragedie come quella del 24 maggio 1999 non si ripetano mai più.
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