Chi tappa la bocca a un giornalista rischia la condanna. Il diritto di cronaca prima di tutto

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Chi tappa la bocca a un giornalista rischia la condanna. Il diritto di cronaca prima di tutto

Ci sono le leggi e vanno rispettate. Ma non ci sono solo quelle nazionali. La corte europea dei Diritti dell’uomo, con una sentenza (Martin contro Francia) depositata il 12 aprile, indica i criteri ai quali anche i giudici nazionali devono attenersi nella tutela dei giornalisti per non incorrere in una violazione della Convenzione e quindi in una condanna dello stato. L’obiettivo? Salvaguardare il valore essenziale della libertà di stampa anche quando sono pubblicate notizie attinte da documenti coperti da segreto.

Non c’è diritto alla privacy che tenga Insomma non c’è diritto alla privacy che tenga rispetto al dovere di un giornalista di informare e al diritto di un cittadino di essere informato sui fatti di interesse pubblico. Alla corte di Strasburgo si sono rivolti quattro giornalisti di un quotidiano francese che hanno pubblicato un resoconto di documenti della corte dei Conti su anomalie nell’amministrazione di fondi pubblici compiute da un ex governatore. Questo si è appellato alla tutela del diritto alla presunzione di innocenza anche perché erano stati pubblicati testi coperti da segreto. Contro i giornalisti è arrivata dunque la decisione del giudice nazionale che ordina di perquisire la redazione. Ma i giornalisti si appellano alla corte Europea e ottengono la condanna dello stato Francese per violazione alla libertà di espressione (articolo 10 della convenzione). Per colpa di quel giudice è stato condannato lo stato. Per la Corte la protezione delle fonti dei giornalisti è elemento inviolabile.

La gente deve sempre sapere Un simile provvedimento da parte di un giudice – nell’interpretazione della corte – potrebbe dissuadere il giornalista dal fornire notizie scottanti, a danno dei cittadini che in questo modo non vengono a conoscenza di fatti che li riguardano, perché di interesse pubblico. E questo a danno dei cittadini che hanno il diritto di essere informati, diritto prioritario rispetto ad altre eventuali rivendicazioni personali delle persone coinvolte nei fatti di cui si racconta. Poco contano – dice la Corte – i mezzi e gli strumenti che utilizza il giornalista per procurarsi le notizie, perché questo rientra nella libertà di indagine. Viene prima il dovere di far conoscere al pubblico i fatti di cui i giornalisti sono a conoscenza. Insomma, troppo spesso la minaccia di querela rivolta al giornalista rappresenta una intimidazione piuttosto che una rivendicazione di un presunto diritto leso. Troppo spesso avvocati e persone coinvolti in fatti di cronaca di rilevanza penale si appellano ad un diritto alla privacy inconsistente rispetto al fatto di essere protagonista di un fatto che non può e non deve essere nascosto al pubblico. Troppo spesso ci si appella al segreto degli atti, mentre in democrazia non ci può essere segreto rispetto ai fatti che i cittadini devono sapere. E a tutela di ciò c’è proprio il lavoro dei giornalisti che hanno il diritto, anzi il dovere di utilizzare ogni strumento possibile pur di entrare in possesso di informazioni da raccontare alla gente. Anche se queste sono coperte da un segreto di indagine della magistratura. Il diritto della gente di sapere viene sempre prima delle tutele riservate agli indagati. E’ la democrazia. Troppo spesso ci si appella alla presunzione di innocenza confondendo i cittadini e facendo credere che una notizie c’è solo se c’è una sentenza definitiva.

La presunzione di innocenza non basta I cittadini sappiano che non occorre una sentenza perché ci sia una notizia. E lo sappiano anche gli avvocati che si sforzano di fare credere  anche ai giornalisti (a questo punto presunti tali, se ci credono e pertanto si limitano) che i fatti di rilevanza penale conoscono un solo luogo nel quale essere rivelati ovvero le aule di tribunale. Lo sappia chi si fa dettare dagli avvocati l’orizzonte di una notizia o il campo di azione di un giornalista. Chi cade nel tranello del segreto di indagine quando c’è (caso raro ma che non vincola l’operato di un giornalista) o persino quando non c’è, caso molto più diffuso. Il cittadino impari a non fidarsi del giornalista che si fa condizionare da chi ha interessi diversi da quello di informare. Il dovere di informare e il diritto ad essere informati non conoscono limiti se i fatti sono di rilevanza penale e di interesse pubblico. Chi pensa di nascondere alla gente le informazioni, tappando la bocca o la penna al giornalista, viola lui si la legge, che sia un cittadino, un avvocato o un giudice. E a pagarne sono i cittadini. Ancorché lo stato.   

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