Tassa sull’automazione: l’Italia alla prova del futuro del lavoro

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Tassa sull’automazione: l’Italia alla prova del futuro del lavoro

L’automazione corre, il lavoro cambia. In Italia – come nel resto d’Europa – cresce il dibattito su come bilanciare innovazione e tutela sociale. Dopo mesi di discussioni, torna sul tavolo la proposta di una “tassa sull’automazione”, o contributo automazione: un prelievo destinato alle imprese che sostituiscono lavoro umano con robot, intelligenza artificiale o sistemi automatizzati.

L’obiettivo è chiaro: recuperare parte del gettito contributivo e fiscale che lo Stato perde quando i robot prendono il posto delle persone, e usare quelle risorse per finanziare formazione, welfare e riqualificazione professionale.

Il 2024 ha segnato un momento di rallentamento per l’automazione industriale italiana – con un calo del 27 % del mercato secondo l’Osservatorio dell’Industria dell’Automazione – ma le prospettive per il 2025 restano di ripresa.

Dietro i numeri, però, c’è una trasformazione profonda: oltre 3 milioni di posti di lavoro sono considerati a rischio nei prossimi 15 anni, in particolare nei settori manifatturiero e logistico.

Non tutti gli effetti sono negativi: le nuove tecnologie possono anche generare occupazione qualificata e salari più alti nei ruoli complementari. Ma la transizione non è neutrale, e il sistema fiscale – ancora centrato sul lavoro umano – fatica ad adattarsi.

Come funzionerebbe la “robot tax”

Il contributo automazione prevede che le aziende che riducono il personale grazie all’automazione versino una quota proporzionale ai risparmi ottenuti. Il gettito non andrebbe alla fiscalità generale, ma a fondi vincolati per sostenere lavoratori e politiche attive.

I sostenitori la vedono come una misura di giustizia redistributiva: un modo per “modernizzare” la solidarietà sociale senza frenare il progresso. I critici, invece, temono un disincentivo agli investimenti e possibili fughe di imprese verso paesi con regimi più leggeri.

Innovazione o penalità?

La sfida è trovare equilibrio: non tassare l’innovazione, ma responsabilizzarla. Molti economisti suggeriscono un approccio misto: accanto alla tassa, prevedere crediti d’imposta per chi forma nuovi lavoratori o mantiene occupazione qualificata, così da premiare chi integra la tecnologia invece di sostituirla.

Il punto di svolta

Il 2025 sarà un anno decisivo. La proposta di legge potrebbe arrivare in Parlamento entro fine anno, mentre le imprese chiedono regole chiare e gradualità. Nel frattempo, la vera domanda resta aperta: in un mondo dove il lavoro cambia, chi paga il prezzo del progresso?

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